Non profit

Pronti al nuovo, ma noi di Yalla siamo già nuovi

di Redazione

Nel mondo in cui viviamo tutto deve essere innovativo, all’avanguardia,
di ultima generazione. Noi ci siamo dentro, ma non dobbiamo farci prendere dalle ansie da prestazionedi Ouajdane Mejri
Gli esperti non concordano sulla data, ma sembra ci siamo. La nuova “era” che corrisponde all’età dell’Acquario è, o appena iniziata (negli anni 60 del secolo scorso), o di imminente avvio (nel 2012). Eppure il concetto di “New Age” che corrisponde a questa precessione degli equinozi e che dovrebbe durare una cosa come duemila anni, è stato talmente consumato che oramai è diventato démodé. Interi stili di vita, filosofie, religioni, terapie, organizzazioni, aziende e via dicendo, con un approccio eclettico e individuale all’esplorazione della spiritualità, sono cadute nell’oblìo.
Attorno a noi oggi nel mondo della “New Economy”, tutto deve essere nuovo, innovativo, all’avanguardia o di ultima generazione. L’ansia di prestazione mi sta agguantando da qualche tempo. Da quando si parla del nuovo iPhone e io non ho ancora comprato quello “vecchio” o quando si dichiara che il web 2.0, padre dei blog, di Facebook e di Twitter è già stato confinato in un armadio per far entrare in scena il web 3.0. Non ho ancora avuto modo di digerire il passaggio da un’economia di mercato basata sull’unicità del prodotto, come era in Tunisia dieci anni fa, a quella del consumismo occidentale dei supermercati straboccanti di merci per essere catapultata nella “New Economy”. Però devo dire che la nuova economia, come definita nel 98 da K. Kelly, mi aveva offerto un soffio di libertà. Era l’anno della mia partenza per iniziare un progetto di vita in Italia, e già entravo nel villaggio globale. Finalmente mi sentivo cittadina del mondo, o almeno di una bella fetta: lo spazio di libero circolazione di Schengen. Arrivata nel cuore della Lombardia, ho subito sentito la responsabilità di essere “nuova cittadina” milanese.
Oggi, quella New Economy che mi aveva fatto sognare perché privilegiava le “New Technologies” (l’ambito del mio lavoro), sceglieva la libertà e puntava sul massimo, esaltava il cogliere la corrente, sta andando anch’essa in decadenza. Accompagnando la sua agonia e il relativo crollo dell’intero sistema economico, nasce un “Nuovo Razzismo” che non riguarda più il colore della pelle o l’etnia di origine, ma in cui la categoria dell’immigrazione sostituisce e diventa il nome della razza. I “New Media” conducono le danze nella disseminazione di stereotipi e nella costruzione di pregiudizi ma diventano anche protagonisti di nuove forme di espressione libere da ogni decenza e vergogna. Il web, con i blog o i social network, non nascondono il razzista dietro all’anonimato di uno schermo, come si è usato pensare, anzi diventano uno spazio nel quale giovane o adulto, del Nord o del Sud, chiunque voglia sfoggiare insulti e pareri degni dei periodi più neri della storia moderna dell’Italia, firma le proprie dichiarazioni xenofobe con tanto di nome, cognome e foto.
E noi, ragazzi di Yalla, dove siamo in tutto questo magma di novità? Sentiamo il bisogno di evolvere dall’espressione cartacea al virtuale, dal gruppo di musulmani al gruppo misto, dalla realtà milanese a una realtà più ampia. Credo però che ci dimentichiamo che già siamo “New”, e quella famosa ansia di prestazione che preme sulle nostre teste non deve diventare un peso che ferma il nostro entusiasmo. La tecnologia è uno strumento e non un fine, l’evoluzione deve essere un atto naturale e non forzato, quello che conta è la voglia di cambiare, non per forza noi stessi, ma trovare un “New Deal” per risollevare il nostro Paese della grande depressione dell’odio e dell’intolleranza.

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