Vorrei indicare tre date per capire la necessità della ripresa di Santa Giovanna dei macelli. Quella della sua composizione: 1929, che coincise con la nota crisi americana di Wall Street che sconvolse tutti i mercati del mondo; quella del 1970, quando fu messa in scena da Giorgio Strehler, che coincise con la rivoluzione sessantottina durante la grave crisi generata dal capitalismo avanzato che portò alle stragi di Stato; quella del 2012 di Luca Ronconi, che rispecchia la situazione attuale, con l’affermazione del turbocapitalismo sconfitto dalla finanza o, come direbbe Emanuele Severino, dal capitalismo stesso.
Le battute del testo brechtiano, ascoltate dalle bocche degli industriali, degli speculatori, degli azionisti, dei piccoli risparmiatori, degli operai, in uno dei momenti più neri della storia economica contraddistinta dalla svalutazione del dollaro, da otto milioni di disoccupati, dal fallimento delle banche, dagli scioperi e dagli scontri tra lavoratori e polizia, mentre i Cappelli Neri, guidati da Giovanna cercavano di lenire le loro sofferenze, sembrano scritte oggi e sono tali da sconvolgerci come sconvolsero il pubblico degli anni 30 e degli anni 70.
Uno spettacolo, però, è fatto anche di immagini sceniche che rispecchiano la lettura critica del regista; Ronconi ha accuratamente evitato le ciminiere delle fabbriche, i cancelli di ferro dietro i quali protestavano gli operai, quelli con i pomi d’ottone della Borsa voluti da Strehler e dal suo scenografo Frigerio, avendo scelto, in accordo con Margherita Palli, la scena nuda del palcoscenico, in questo caso raddoppiato, di via Rovello dipinta da un giallo ocra, in modo da creare un Alto e un Basso (sfruttatori e sfruttati). Qui vediamo arrivare seduto su una grande scatola di carne, all’apice di un carrello elevatore, Mauler il re delle carni, una specie di pulpito, dal quale dirige il Mercato, comprando e svendendo e mettendo in gravi condizioni i colleghi industriali che si muovono rinchiusi in gigantesche scatole di carne, sulle quali è impressa la marca che si fabbricava al mattatoio di Chicago.
Le scene di massa sono state affidate a un filmato che utilizza la tecnica del green screen isolando alcune facce degli attori per moltiplicarle all’infinito. Pur evitando ogni precettistica brechtiana, Ronconi, che fa già di suo un teatro epico, avendo sempre evitato nei suoi spettacoli l’elemento naturalistico, optando per un teatro della non-immedesimazione ma della riflessione, ha tolto i momenti corali del testo con le relative parti cantate preferendo un sottofondo di musica liturgica o melodrammatica con riferimento alla Giovanna D’Arco di Verdi, chiedendo agli attori di non perseguire né l’interpretazione psicologica, né tantomeno quella “narrativa”, essendo i personaggi veicoli di idee che è sufficiente portare in scena.
Mauler, interpretato da Paolo Pierobon, è un magnate che “grugnisce” come un maiale, ben aizzato da Slift, una sorta di Jago impersonato da Fausto Russo Alesi, mentre a Maria Paiato è stato affidato il compito di creare una Giovanna che si immola non tanto per il bene dei poveri, quanto per affermare l’idea di un dio misericordioso; ma sono proprio le idee a subire la débâcle sia quando vengono trasformate in ideologie sia quando, ponendosi come portatori di valori, vengono sconfitte da una realtà che oggi sembra correre molto più velocemente della finzione.