Mondo

«Quante bugie su di noi»

Somalia A un mese dalla liberazione parlano i due cooperanti rapiti

di Redazione

Iolanda Occhipinti e Giuliano Paganini, i due cooperanti del Cins – Cooperazione italiana Nord-Sud, rapiti il 21 maggio in Somalia e liberati il 5 agosto, portano ancora i segni della propria esperienza. 75 giorni di prigionia non sono uno scherzo e la storia non è del tutto finita, visto che è ancora nelle mani dei rapitori Abduraham Yussuf Harale, detto John, il rappresentante locale del Cins. Di lui non si hanno più notizie dal 1° luglio, quando è stato diviso dagli italiani.
Paganini è quello che porta i segni più visibili dell’esperienza; ha ancora qualche problema a parlare a lungo, è dimagrito e si affatica facilmente. Ma, rispetto al giorno del rilascio, i progressi si vedono e sono rassicuranti. Per ora né lui né la sua collega pensano a tornare. Assicurano che non smetteranno di lavorare dall’Italia perché, ripetono più volte, «quello somalo è un popolo che non può essere abbandonato».
«I rapitori non ci hanno mai trattato male», assicurano ancora oggi, «non abbiamo ricevuto alcuna minaccia». Smentita, quindi, la voce secondo cui i due si sarebbero sentiti dire più volte che li avrebbero uccisi. Ma, nonostante questo, «la paura più grande rimaneva quella di morire» assicura, con un sorriso un po’ forzato, Giuliano Paganini. Anche il rilascio è stato tranquillo: «Ci hanno coperto la testa e ci hanno fatto fare un lungo giro per Mogadiscio. Poi quelli che erano sul nostro veicolo sono scesi ed è salito un ragazzo che ci ha detto “Siete liberi”».
Rimane la domanda: cosa stavano facevano i due cooperanti in Somalia? Si è parlato di ogm e di biocarburanti, ma Paganini, perito agrario specializzato in colture tropicali, smentisce: «Niente del genere, studiavamo alcune specie per verificarne l’adattabilità al terreno e un loro possibile utilizzo. Alla fine un gruppo di agronomi somali avrebbe valutato i nostri risultati e deciso se investire o no in queste coltivazioni». Non sono mancate neppure le accuse di imprudenza: «La nostra zona non era al centro degli scontri», assicura Paganini, «non era considerata pericolosa. Lì i cooperanti erano ben voluti. Purtroppo ora imperversano queste bande che si oppongono al ritorno alla normalità». E risponde anche a chi ha parlato di un loro rifiuto alla possibilità di salire, qualche giorno prima del rapimento, su un volo predisposto per evacuare i cooperanti in Somalia. «In quei giorni ero a Nairobi dove hanno sede tutte le ong e le associazioni che operano a Mogadiscio e nessuno mi ha detto niente», assicura Paganini.
Intanto restano ancora nelle mani dei loro rapitori i cinque operatori umanitari somali dell’ong italiana Water for life (Acqua per la vita), prelevati il 30 giugno scorso a Mogadiscio, e due giornalisti (una canadese e un austrialiano) rapiti il 23 agosto. E nel paese continuano gli scontri, dopo il fallimento dell’accordo di pace tra governo e Corti islamiche, scaturito dalla conferenza di Gibuti del 9 giugno scorso e prontamente respinto da uno dei più influenti leader musulmani, Hassan Dahir Awey.
Nel frattempo il presidente del Consiglio comunale di Milano, Manfredi Palmeri, ha annunciato che il capoluogo lombardo promuoverà nel 2009 una conferenza internazionale sulla Somalia. Ipotesi accolta positivamente dalle ong impegnate sul campo. «Ma sorveglieremo che non sia solo un effetto annuncio», dicono.

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.