Non profit

Quanto conta nel cibo il gusto del nuovo

di Redazione

Il Meeting di Rimini è sempre una bella esperienza, giacché ha nello sviluppo della parola stessa la sua sorpresa. Incontri, dibattiti e a volte un’illuminazione. Come quella che ci ha dato Lucia Bailetti, esperta di analisi sensoriale, sul pericolo della “neofasia”, la paura del nuovo. È così che abbiamo scoperto quanto per i bambini l’assaggio di un frutto, che magari è una novità rispetto alle merendine, sia guardato con sospetto. Così abbiamo cominciato a ripartire dai gusti elementari, per scoprire la fonte del gusto che nella sua purezza è una vera sorpresa. «Ma bisogna farne esperienza», ha detto Lucia. «Altrimenti cadiamo nella trappola che genera la neofasia: un mondo virtuale, vissuto solo al computer». Al Meeting abbiamo presentato anche il nostro libro: Adesso. 365 giorni da vivere con gusto. Ma è della sorpresa di trovarmi con un altro autore che voglio parlare, uno intervenuto prima di me per presentare il suo libro su Bill Congdon, un pittore di origini americane vissuto a Gudo Gambaredo, dove oggi i monaci benedettini della Cascinazza fanno la birra Amber. L’autore, Pigi Colognesi, ha raccontato che un giorno chiese a Bill di spiegargli un quadro e lui si arrabbiò moltissimo. È la stessa questione del gusto: una cosa che diventa tua, di cui devi fare esperienza. Anche un quadro, nel momento in cui è concepito, non appartiene più al suo autore: l’interpretazione, l’emozione, lo spiraglio di luce che offre è un’esperienza che riguarda una persona e quell’evocazione tratta dai colori. Il gusto è quasi della stessa natura, benché lo scrittore Luca Doninelli abbia imbastito una battaglia col sottoscritto per dimostrare che la cucina non sarà mai arte. Ma a parte questo, il gusto come un profumo evocano ricordi personalissimi, ti riportano all’origine della tua crescita. Ecco perché è allarme grave per i bambini che hanno il gusto sopito dall’appiattimento alimentare: il loro ricordo rischia di riportarli alla neofasia, al nulla, alla paura del rapporto, figlio di un mondo virtuale dove non c’è dentro qualcosa di noi.

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