Mondo

Quei 13 miliardibandati in fumo

Molte banche fallite erano sponsor del terzo settore

di Redazione

È quanto donano banche e fondazioni Usa alle charities. La Lehman Brothers garantiva 27 milioni l’anno, la Wachovia 97. Ora è tutto finito. E il governo non può farci niente U n grosso timore serpeggia tra le non profit americane in queste settimane: quale sarà l’impatto del crollo di Wall Street sul terzo settore? La crisi che sta mettendo in ginocchio banche e assicurazioni rischia di sottrarre ingenti risorse al mondo del non profit a stelle e strisce, oggi così potente proprio perché sostenuto per tre quarti da capitali privati.
In ballo, secondo il Nonprofit Almanac 2008 , ci sarebbe una buona fetta dei 13 miliardi di dollari che ogni anno le corporate foundation devolvono in beneficenza. In una classifica stilata dal Foundation Center, nel 2006, tra le prime dieci fondazioni aziendali più “generose”, sei facevano capo a istituti bancari e assicurativi. Tra questi, ad esempio, al terzo posto figurava la Wachovia Foundation, con 97 milioni di dollari donati in beneficenza nel 2006. Negli ultimi anni la fondazione ha aiutato oltre 2.600 strutture, supportando soprattutto iniziative a carattere educativo e culturale ma anche rifugi per senzatetto e alloggi per i poveri. Oggi che, come è noto, la Wachovia ha accettato la fusione con la Wells Fargo, il non profit dovrà fare a meno delle sue donazioni e probabilmente anche di una buona parte dei 64 milioni della stessa Wells Fargo. Saranno ancora strutture non profit per homeless a scontare la statalizzazione di Fannie Mae e Freddie Mac; negli ultimi cinque anni le due compagnie insieme avevano donato in beneficenza oltre 200 milioni di dollari, posizionandosi come le corporate foundation più potenti di Washinton Dc e le più munifiche nell’ambito degli alloggi per senzatetto.
Il fallimento della Lehman Brothers peserà soprattutto sulle non profit che operano nell’ambito dei servizi sanitari, privandole dei 27 milioni di dollari assicurati ogni anno dalla banca d’affari. Il crollo della Washington Mutual andrà a incidere invece sull’educazione dei ragazzi del Nord-Ovest americano, considerando che è a questi servizi che l’istituto bancario di Seattle devolveva annualmente una media di 44 milioni di dollari; in forse, a questo punto, ci saranno anche gli 80 milioni della J. P. Morgan Chase che ha recentemente assorbito la WaMu. E l’elenco potrebbe andare avanti, considerando che le banche fallite a oggi sono 12, cui si aggiungono gli istituti “statalizzati” e quelli liquidati.
Esiste, inoltre, un effetto “valanga” della crisi. Molte di queste banche imponevano ai top manager l’obbligo di devolvere in beneficenza una parte del proprio stipendio. Ad esempio, i mille senior director della Bear Stearns – oggi anch’essa parte di J. P. Morgan Chase – da soli mandavano avanti la Citymeals di New York, un’associazione che distribuisce ogni giorno 18mila pasti caldi ai poveri della città. La concentrazione del mercato, oltre a tagliare posti di lavoro rischia di tagliare anche molti servizi ai poveri.
Per di più, il bisogno sociale cresce di pari passo alla crisi economica. Molte associazioni hanno denunciato un improvviso incremento della povertà: la Los Angeles Regional Food Bank, per esempio, parla di un’affluenza quasi raddoppiata alle mense dei poveri della metropoli californiana; la National Coalition for the Homeless ha segnalato il proliferare di decine di campi per sfollati in tutto il Paese. Per rispondere a questa emergenza il non profit non potrà fare affidamento su maggiori aiuti federali: il taglio dei posti di lavoro porterà minori introiti nelle casse dello Stato già alleggerite dei 700 miliardi di dollari concessi alle banche dal piano di salvataggio. E così, come prevedono molti esperti, ci sono buone probabilità che il Dipartimento del Tesoro tagli anche una fetta dei 100 miliardi di dollari destinati ogni anno al non profit.
Al terzo settore non restano che due speranze: un presidente democratico, che torni a fare del sociale una priorità, e il popolo americano. A oggi i semplici cittadini versano in beneficenza oltre 220 miliardi di dollari l’anno, più della metà delle risorse su cui il settore può contare. La speranza è che, come già avvenuto in altri periodi di recessione economica, la crisi stimoli una gara di solidarietà tra i cittadini americani.

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