Cultura
quel prossimo facileda amare a distanza
riflessioni L'appassionata ricerca di Adriano Sofri
di Redazione
Èla parabola del Buon Samaritano l’incipit di Chi è il mio prossimo. Ma si tratta di uno spunto, di cui Sofri ribalta subito la prospettiva: già la annuncia il titolo, affermativo e non interrogativo come nel Vangelo.
Con una scrittura densa, il testo propone un caleidoscopio di suggestioni su questioni intorno alle quali Sofri gira da tempo: la domanda (appunto) su chi è il mio prossimo; lo scacco delle azioni umane, specialmente di quelle buone; il rapporto con le generazioni future; il rapporto tra libertà, peccato e pentimento. Un percorso implicitamente ed esplicitamente autobiografico («Non è di me che parla questo libro ma di tutti noi e della terra»), un appassionato spirito laico che rimanda ad una spiritualità che non passa inosservata.
Per chi, come me, opera nel campo della tutela dell’infanzia abbandonata e di adozioni internazionali, la riflessione è stimolante. Quante volte mi è più ovvio amare il bambino lontano rispetto alla coppia di genitori adottivi che ho vicina! Già, perché il prossimo non si sceglie. E ancora la divaricazione tra un afflato verso l’amore universale (l’insuperabile frustrazione di Alex Langer) e la scelta tra un prossimo concreto e quindi limitato (la contabilità dell’amore possibile di don Milani).
La generosità dell’adozione a distanza, cioè di bambini distanti nello spazio, non rischia di compensarsi con «un’avarizia, una dissociazione dalla sofferenza vicina del nostro prossimo», si chiede Sofri? E c’è anche la distanza nel tempo: 15mila generazioni prima di noi e questa è quella che, per la prima volta, può essere l’ultima. Prima o poi qualcuno raccoglierà offerte anche per le adozioni «a distanza di tempo».
Chiude Sofri con il Figlio Prodigo, in polemica con Ratzinger sul punto di vista da assumere: non quello del figlio fedele, ma quello del figlio che liberamente va via di casa, sperpera, conosce il mondo e, pentitosi, torna a casa. Il padre ha un debole per il figlio ribelle, perché «Dio (l’uomo) l’ha creato così: peccatore e capace di tornare a casa». In attesa di tornare a casa, Sofri (io, noi) è alla ricerca di ciò che può dare il senso al nostro girovagare: «Ogni pensiero, ogni gesto che coltivi la vita oltre la nostra vita». Le strade degli uomini s’incontrano, alla fine, nella stessa casa.