Fundraising
Quella gran voglia di attivismo della GenZ
Uno su due dona, ma alla GenZ non basta: vogliono attivarsi. Il 34% degli under35 si dichiara disponibile a coinvolgere amici e parenti per una causa sociale e su Rete del Dono il 27% dei personal fundraiser appartiene a questa fascia d'età. Raccontare i giovani come disinteressati al sociale ormai è una falsità: sono selettivi, questo sì. Ma fedeli. Un focus sui giovani sostenitori a partire dai dati di Donare 3.0

La GenZ, la prima generazione di nativi digitali, spesso etichettata come liquida e disimpegnata ci restituisce un’altra immagine di sè: densa, consapevole, desiderosa di incidere. Lo dimostrano sia i dati di Donare 3.0, l’osservatorio promosso da Fondazione Rete del Dono e PayPal in collaborazione con Bva Doxa, sia le tendenze emerse dall’analisi dei dati di Rete del Dono (qui la diretta della presentazione).
Una generazione che vuole incidere
Secondo Donare 3.0, il 51% della GenZ ha donato almeno una volta per progetti culturali e territoriali. Non sono solo utenti digitali esperti: sono cittadini attivi, attenti alla qualità delle relazioni, selettivi nel loro coinvolgimento. La propensione al dono cresce se la causa è rilevante, se il progetto è radicato sul territorio e se la narrazione è autentica. L’86% dei donatori digitali infatti afferma che a motivarli sono storie vere e concrete. In questo quadro, il crowdfunding emerge come uno strumento affine ai codici della GenZ: collettivo, interattivo, narrativo. Un’azione pubblica che genera valore attraverso micro-donazioni ma soprattutto attraverso reti, fiducia e community.

Dal dono alla partecipazione
I giovani non si limitano a donare: vogliono attivarsi. Il 34% degli italiani under35 si dichiara infatti disponibile a coinvolgere amici e parenti per una causa sociale. Questa propensione si traduce in personal fundraising: su Rete del Dono, negli ultimi due anni, il 27% dei personal fundraiser (quasi 1 su 3) appartiene proprio alla GenZ. Iniziative personali – compleanni solidali, sfide sportive, esperienze collettive – diventano occasioni per diffondere cultura del dono e amplificare l’impatto delle organizzazioni. I contesti comunitari o di gruppo facilitano il coinvolgimento e l’attivazione, la forza del gruppo li stimola a credere che il cambiamento sia possibile, grazie alla collaborazione collettiva.
Questa generazione non è disinteressata, è selettiva. E quando sceglie, è fedele. Ma bisogna parlare la sua lingua, condividere valori, costruire esperienze vere
Michele Musarra, ceo di Algor Education
Michele Musarra, ceo di Algor Education, intervenuto all’ultima edizione di Donare 3.0, ci ricorda che «questa generazione non è disinteressata, è selettiva. E quando sceglie, è fedele. Ma bisogna parlare la sua lingua, condividere valori, costruire esperienze vere». Diventa quindi sempre più rilevante conoscere i giovani, per capire come coinvolgerli e ingaggiarli. Una grande opportunità per le organizzazioni di stringere e coltivare una relazione che guarda al futuro e che ha i requisiti per evolvere in termini di dono e ingaggio attivo.

Sentirsi parte: la cultura della comunità
A differenza delle altre generazioni, la GenZ tende a considerare il dono non come gesto privato o filantropico, ma come espressione di cittadinanza attiva. Non è un caso che le cause culturali – storicamente meno “popolari” tra i boomer – siano invece ben rappresentate tra le preferenze dei giovani. Per loro, sostenere un festival indipendente, una biblioteca di quartiere o un progetto di rigenerazione urbana significa costruire futuro, rafforzare l’identità, difendere spazi di senso. È un segnale che merita attenzione. Il crowdfunding cresce perché risponde a un desiderio di coinvolgimento. Le persone non vogliono solo donare: vogliono far parte. Vogliono contribuire a un cambiamento condiviso, misurabile, narrabile. E la cultura è un campo fertile.
La GenZ tende a considerare il dono non come gesto privato o filantropico, ma come espressione di cittadinanza attiva. Non è un caso che le cause culturali – storicamente meno “popolari” tra i boomer – siano invece ben rappresentate tra le preferenze dei giovani
Valeria Vitali, presidente di Rete del Dono
Ancora diverso è l’approccio dei giovanissimi, come Giovanni e Pietro, liceali in partenza per un’estate di volontariato in una scuola in India. Hanno scelto di donare il proprio tempo per un progetto educativo dell’associazione Il Sole, mettendosi in gioco in prima persona. Per loro, donare denaro ha meno valore, perché si tratterebbe “solo” di attingere ai “fondi” dei genitori. Preferiscono agire: dare ripetizioni, insegnare italiano nei centri di accoglienza, esserci con il corpo e con la testa.

Tra poche settimane partiranno e su Rete del Dono hanno già lanciato una campagna di crowdfunding per raccogliere i fondi necessari a Il Sole per acquistare lavagne e lavandini, che serviranno alla scuola in cui andranno a fare volontariato. Per coinvolgere i loro coetanei hanno organizzato un aperitivo solidale, una formula di coinvolgimento vicina alle lore abitudini e quindi accessibile. «Noi, da scout, siamo abituati ad attivarci. Ma per molti non è così. Bisogna trovare il linguaggio giusto per avvicinarli e coinvolgerli», raccontano. È una generazione che, anche attraverso piccoli gesti, sta imparando a fare la differenza. Con coraggio, concretezza e nuove forme di partecipazione.
Più formati, ma anche più fragili
Va ricordato che la GenZ rappresenta una generazione compressa tra crisi economiche, incertezze climatiche e instabilità globali. Difficile per loro intravedere il futuro, soprattutto nel nostro Paese. Eppure, è anche la generazione più istruita, più europea e globale, più abituata a pensare in termini di sostenibilità, diritti e impatto.
Sono i più sensibili a donare per cause e progetti che hanno un impatto fuori dal nostro Paese: 16% per la GenZ vs 1% dei Boomer
Valeria Vitali, presidente di Rete del Dono
Sono sempre loro i più sensibili a donare per cause e progetti che hanno un impatto fuori dal nostro Paese (16% GenZ vs 1% Boomer). Intercettarne le loro energie significa anche offrire spazi di partecipazione, strumenti adeguati, linguaggi inclusivi. In questo senso, il digitale – se usato con cura – può diventare un vero abilitatore. Lo dicono i dati: nel primo quadrimestre del 2025, Rete del Dono ha superato 1,6 milioni di euro raccolti, con un +26% rispetto all’anno precedente. La crescita è trainata da eventi sportivi, ma anche da nuove forme di co-progettazione con le aziende e da un uso più consapevole degli strumenti di intelligenza artificiale per raccontare l’impatto.
Una generazione selettiva, ma autentica
In sintesi, i giovani donano se si riconoscono nella causa e intravedono uno spazio di partecipazione attiva perché sono assetati di:
- autenticità: vogliono storie vere, trasparenti, concrete;
- appartenenza: scelgono di contribuire dove si sentono coinvolti;
- selettività: preferiscono poche cause ma sentite, su cui impegnarsi anche come ambassador.
Il dono, per loro, è un gesto laico, civile, partecipativo. Un modo per esserci. Il dono di tempo di oggi può trasformarsi in qualcosa di più importante. La sfida è quella di valorizzare questa spinta, costruendo ponti tra organizzazioni e nuovi pubblici: potremo non solo raccogliere fondi, ma generare fiducia, senso, trasformazione.
Valeria Vitali è cofounder e presidente di Rete del Dono. Foto di apertura da Rete del Dono
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