Cultura
Quelle parole per noi: invito a generarecomunit
Il direttore della Caritas italiana affida a Vita le riflessioni sull'Enciclica
di Redazione
«In una società fortemente frastagliata, dove
il vivere frenetico quotidiano non facilita l?incontro tra persona e persona, è necessario intensificare una molteplicità di piccole azioni perché solo attraverso di esse è possibile costruire la solidarietà
delle relazioni corte»
«La prevalente funzione pedagogica dell?opera di carità e la pedagogia dei fatti trova nella pastorale della carità la sua espressione comunitaria, che coniuga in sé necessità
di intervento e volontà di animazione, in alcuni fondamentali impegni
attraverso i quali la persona e la comunità dicono se stesse al territorio»
di Vittorio Nozza
Concetti e parole che si adoperano
Proprio perché va al cuore della sfida cristiana, il tema proposto dall?Enciclica Deus caritas est esige qualche ancoraggio preliminare che dia conto del significato dei concetti e delle parole che si adoperano. L?amore cristiano non è solidarietà generica, tanto meno semplice elemosina, ma nuovo modo di essere, stile di vita, dono di amore nella reciprocità per incidere sul costume e sulla vita personale, comunitaria e sociale. L?amore è prossimità nel senso più ampio e comprensivo della fraternità umana. Frutto della comune paternità divina, per cui davvero «ogni uomo è mio fratello». Al suo diritto di essere trattato come tale corrisponde il mio dovere di non sottrargli mai nulla della sua dignità, in una circolarità di gratuita reciprocità che non può conoscere limiti, perché al cristiano è chiesto di amare l?altro comunque, senza ulteriori precisazioni di simpatia o di inimicizia. è questa la ragione per cui il precetto della carità risulta incomprensibile, persino innaturale. Oggi più che mai, in un mondo tutto esplorato e reso comprensibile a tutti, esistono le coordinate per mettere in evidenza un?idea di ?prossimità universale? che non consente deroghe o sottrazioni. Il concetto di interdipendenza è il più appropriato al riguardo.
Quando parliamo di prossimità al mondo dei poveri sia nei nostri contesti territoriali come nel mondo è importante avere presente un triplice volto di povertà: una povertà generata da non risposta a bisogni primari, quali cibo, vestito, casa, lavoro, salute, studio; una povertà generata da non risposta a bisogni relazionali a causa di solitudine, abbandono, trascuranza, dimenticanza, (anziani, malati mentali, carcerati, handicappati, famiglie monoparentali, minori, adolescenti, cittadini invisibili); una povertà generata da non senso, non significato e da non valore dato alla propria e altrui vita (adolescenti, giovani e adulti che si autodistruggono con droga, alcol, bulimia, anoressia, eccessi di velocità, spericolatezze, shopping compulsivo, attaccamento patologico al lavoro, gioco d?azzardo, cyberdipendenza, invasività della telefonia mobile, …).
La carità come compito concreto e spirituale della Chiesa
Il vangelo della carità ci invita ad incontrare questi volti e storie, a camminarci dentro, a collocarci, attraverso la contemplazione del volto di Cristo, nei crocevia delle contraddizioni e delle fragilità di ogni uomo. Il frequentare e l?abitare la vita, il territorio, la storia, interpella il singolo e le comunità parrocchiali mettendo in luce come accanto alla risposta di solidarietà immediata, giocata forse più sull?onda di una buona emozione che sul sentiero ordinario e quotidiano della carità, c?è un tessuto comunitario ancora fragile, una tunica che presenta ancora lacerazioni, una conflittualità che continuamente riemerge. La carità chiede di diventare esperienza quotidiana di relazione, compagnia, condivisione, presa in carico e non soltanto di beni. Un annuncio del vangelo che non tocca, non giudica e non interpella la vita e i fatti che avvengono è sfasato e dissociato dalla realtà: «? la stessa sollecitudine per il vero bene dell?uomo che ci spinge a prenderci cura delle sorti delle famiglie e del rispetto della vita umana si esprime nell?attenzione ai poveri che abbiamo tra noi, agli ammalati, gli immigrati, ai popoli decimati dalle malattie, dalle guerre e dalla fame? Ricordiamoci sempre delle parole del Signore: quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l?avete fatto a me (Mt. 25,40)» (Benedetto XVI, Assemblea generale Cei, 30 maggio 2005).
Se incominciamo ogni volta a dire di sì, cioè a farci carico delle sofferenze e delle necessità spicciole dei fratelli che incontriamo, certamente la nostra vita cambia, diventa linguaggio visibile e testimonianza, parla anche al cuore e alla vita degli altri. In una società fortemente frastagliata, dove il vivere frenetico quotidiano non facilita l?incontro tra persona e persona, è necessario recuperare e intensificare questa molteplicità di piccole azioni perché solo attraverso di esse è possibile costruire la solidarietà del quotidiano, di base, la solidarietà delle relazioni corte. Solo attraverso questa solidarietà di base è possibile segnare l?intera nostra esistenza di carità e quindi renderla linguaggio visibile, vivo per gli altri. La prevalente funzione pedagogica dell?opera di carità e la pedagogia dei fatti trova nella pastorale della carità la sua espressione comunitaria, che coniuga in sé necessità di intervento e volontà di animazione, in alcuni fondamentali impegni attraverso i quali la persona e la comunità dicono se stesse al territorio.
L?attività caritativa cristiana indipendente da partiti ed ideologie e non finalizzata a proselitismo
La coscienza cristiana è chiamata a confrontarsi con le sfide del tempo presente avendo a riferimento essenziale il dovere di amare il prossimo. Ne consegue un atteggiamento di ricerca continua che mai può sostare nella contemplazione degli idoli del momento né mettersi al servizio di strategie mondane, ma che sottopone a critica ogni manifestazione del pensiero ed ogni prassi politica che non concorrano a un disegno di bene comune in cui giustizia e carità si coniugano a servizio delle persone. Se quello di umanizzare e amare la vita è il compito della comunità cristiana, ne consegue un discernimento delle dottrine e degli atti da respingere se divaricano da tale fine e da accogliere se ad esso concorrono. è il discorso giovanneo della collaborazione ?sulle cose buone?, che però vanno individuate e perseguite all?interno della realtà storica: che dunque non va mai rifiutata ma che non può essere accettata come una gabbia senza uscita o come la giustificazione di ogni rinuncia o di ogni compromesso.
Per quanto i percorsi siano e restino differenti, non si può negare che esistono intrecci positivi di valori e di intenzioni che possono far crescere la coscienza della fraternità. Il confine, allora, passa tra chi si fa carico del destino dell?uomo e chi ad esso rimane indifferente. Cambieranno i termini. Si parlerà di solidarietà o di coesione sociale, ma la diversità delle parole non ostacola il tragitto da fare insieme. Sapendo, con Teilhard De Chardin, che quanti guardano all?uomo finiranno con l?incontrarsi.
Partecipare se stessi all?altro, nell?umiltà e con speranza
Parlando degli operatori che svolgono il servizio della carità nella Chiesa, il Papa fornisce una serie di indicazioni prettamente pastorali. Afferma che, oltre alla competenza professionale, gli operatori hanno bisogno di umanità, di formazione e di attenzione del cuore, perché a un mondo migliore si contribuisce facendo il bene in prima persona, con un cuore che vede dove c?è bisogno di amore e agisce in un modo conseguente. Questi ?collaboratori? devono essere consapevoli di essere strumenti nelle mani del Signore, chiamati a prestare il servizio senza la pretesa di trovare la soluzione ad ogni problema, né rimanere nell?inerzia della rassegnazione. Ancorati alla preghiera per non cadere nell?attivismo e nell?incombente secolarismo (nn. 33-37), è necessario che muovano da quella visione della carità che il Papa vede ben interpretata dai santi di ieri e di oggi, perché «rimangono modelli significativi di carità sociale» (n. 40).
Prendere coscienza della portata della sfida che è davanti a ciascuno di noi e a ?noi? come comunità – e comunità cristiana in modo specifico – è la condizione necessaria per non rimanere sopraffatti dalla logica della inevitabilità dei dati e delle tendenze, cioè della ineluttabilità dei fatti compiuti. Mi pare questa la linea di coerenza obbligata, ma anche esaltante, per chi sa di voler vivere «con il dono della carità dentro la storia» per realizzare una vera prossimità evangelica in compagnia di una presenza che è il «Deus caritas». Una prossimità che, in tutti gli approfondimenti, i vari progetti, le presenze nei mondi della fragilità e della povertà, è segnata da una spiritualità che, facendosi prossima a queste situazioni, interroga la vita dell?intera comunità, le sue attività ordinarie, il senso profondo di gesti spesso dati per scontati.
Si sente sempre più il bisogno di far crescere nei nostri contesti una spiritualità dove il modo di pregare e di ascoltare la parola di Dio ci trasforma. Conseguenza di ciò è il dono di sé, non ostentato né scontato, sottoposto a continua verifica sulla capacità di rinnovare la vita per fedeltà alla Parola. La spiritualità di cui c?è bisogno per dare un?anima alla testimonianza della carità è la spiritualità di speranza capace di tenuta di fronte alle prove e agli insuccessi, che accetta la fatica del servizio meno gratificante, che vede un cammino di salvezza anche nelle situazioni umane più degradate e frantumate, che mette in crisi l?efficienza paga dei suoi risultati.
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