Welfare

questi ragazzi si prenderannola dignità che gli neghiamo

G2 un incontro a roma fotografa una realtà piena di energia positiva

di Redazione

Li vedo impegnati. Li vedo motivati, politicizzati, dinamici e pieni di voglia di fare. Queste le poche certezze che ho sulle seconde generazioni di domani.
E vi dirò anche perché.
Il 18 novembre a Roma si è svolto qualcosa di straordinario, e lo dico non solo perché io l’ho vissuto con una punta di quasi commozione, ma anche perché un prolungato e documentato interesse sul tema mi ha dato modo di osservare il fenomeno in tutte le sue declinazioni, e non c’è mai stata conferenza, incontro, ospitata in televisione che mi abbia colpito più di quello che è accaduto quel giorno.
Il 18 novembre si sono incontrate le seconde generazioni di Italia.
Appena entro noto un ragazzo alto e robusto, con dei lunghi capelli rasta, la pelle color ebano e un accento romanaccio da spaccarsi in due dalle risate: «Ao’,de qua raga’, l’incontro è deggìù a destra».
Scendo e apro la porta di uno stanzone dove, e lo sentivo ancor prima di entrare, saranno stati rappresentati almeno una ventina di Paesi. E in che modo?
Mr. rasta-romanaccio, intanto. Un ragazzo cinese con un cerchietto in testa e le All Star ai piedi. Una ragazza etiope con jeans a zampa d’elefante. Un sudamericano vestito da b-boy, con tanto di cappellino e jeans col cavallo a terra. Ragazze col velo, una felpa e i jeans. Un marocchino vestito in completo. Un arabo griffato dalla testa ai piedi.
Erano tutti stranieri e italiani insieme, in un modo così caotico, colorato, ma soprattutto armonioso, che non potevi far altro che sederti e guardarli tutti, catturando delle istantanee nella tua mente e tentando di renderle indelebili. Tentando di salvarle nella cartella «momenti di consolazione per quando mi sento (o mi fanno sentire) diversa».
Il merito va a tre organizzazioni, i G2, Associna e i GMI, che hanno organizzato congiuntamente l’incontro.
Com’è il loro futuro?
È un futuro di aggregazione. Di coscienza di massa. Di consapevolezza. Di determinazione.
E non può che essere così, anche perché fa parte dell’indole umana, di un atavico bisogno di sentirsi parte di una categoria sociale che ti riconosce e ti dà la dignità, i diritti che meriti.
Quella dignità che ad esempio lo Stato italiano non riconosce a uno dei tanti ragazzi lì presenti, che si è alzato e ha raccontato di come, nonostante la laurea e le sue competenze, sia stato licenziato da una scuola dove insegnava francese in quanto “cittadino non italiano”.
Quella dignità che sempre lo Stato italiano non dà a una ragazza che mi raccontò, un giorno, di come, nonostante la sua cittadinanza fosse italiana, per un “vuoto di residenza”, per un assurdo errore burocratico, non lo risultava più e stava per essere espulsa.
Quella dignità che si prenderanno le seconde generazioni.
Gaber diceva: «Un’idea, un concetto, un’idea, finché resta un’idea, è soltanto un’astrazione, se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione».
Ecco perché se la prenderanno.
Per loro la dignità, l’identità civica, il riconoscimento istituzionale non è un’idea, ma una realtà concreta e pragmatica che meritano di vivere al pari di ogni altro cittadino italiano.
Ci saranno matrimoni misti. Tanti. Gradualmente, e con migliaia di difficoltà, ma ci saranno.
Ci saranno terze generazioni che avranno molti meno problemi nei rapporti con l’altro e con le istituzioni, ma molte più questioni con se stessi e la propria identità.
Ci saranno ancora persone riluttanti a riconoscere il loro valore e la loro intrinseca complessità rispetto a chi li circonda, e che magari rinunceranno a esaltare la propria diversità, che accetteranno la massificazione, l’omologazione, l’appiattimento generazionale a cui tutti siamo soggetti.
E se questi saranno molti, non lo so.
Vedo un futuro in cui le istituzioni saranno costrette a fare i conti col fatto che stiamo prendendo coscienza di massa, e che sappiamo bene quale può essere il nostro ruolo sociale.
Vedo un futuro in cui l’Europa intera sarà costretta a tirare fuori dal cilindro qualche nuovo, magico modo di inventarsi nuove politiche di integrazione.
Perché nel futuro non c’è spazio per rivolte nelle banlieue e per leggi alla Bossi-Fini, non ci può essere, perché nel futuro saremo tanti e perché un errore reiterato è un crimine.
Perché è l’unico modo per accantonare la forzata convivenza multietnica che vige in ogni grande e piccola città, ed intraprendere il percorso che porta ad una vera, autentica, convinta, interculturalità.