Cultura

Qui Abidjan, il bazar dei kalashnikov

Dice il presidente Laurent Gbagbo: "La Costa d’avorio diventerà il motore militare della regione". Per ora è un vero vulcano.

di Redazione

Come la Guinea, il Burkina Faso non è mai stato oggetto di sanzioni da parte della comunità internazionale, speranzosa di vedere Campaoré collaborare nella lotta intrapresa di recente nel Sahel alla rete di Al-Qaeda. Questo nonostante un passato ingombrante che ha visto, prima dell?11 settembre, il presidente burkinabé accogliere sul proprio territorio figure di primo piano della stessa Al-Qaeda.
Chi invece rischia grosso è il presidente ivoriano Gbagbo, chiamato direttamente in causa nel rapporto pubblicato il 29 aprile scorso dalla Commissione d?inchiesta dell?Onu sulle esazioni e i massacri compiuti ad Abidjan il 25 marzo 2003. Il bilancio ammonta a «120 persone uccise, 274 ferite e 20 scomparse». Ma «sono molto di più», assicura a Vita la presidente della Commissione d?inchiesta, Franca Sciuto, per la quale «le armi leggere non sono certo estranee rispetto a quanto è accaduto ad Abidjan in quei giorni». «Dalle testimonianze raccolte», prosegue, «sappiamo che i kalashnikov sono stati impiegati dai partigiani di Gbagbo per reprimere i manifestanti». La cosa non ha stupito più di tanto Franca Sciuto, «in quanto», spiega, « Abidjan è un vero e proprio bazar di armi leggere a cielo aperto. Circola di tutto».
Claudio Gramizzi vi ha trascorso due
anni: «Nel 2002», sostiene, «al mercato centrale di Abidjan si poteva acquistare kalashnikov per una trentina di euro». «La Costa d?Avorio è il motore economico nella sotto-regione, deve anche diventarne il motore militare». Parola di Gbagbo. Ebbene, dall?inizio della crisi, lo Stato ivoriano si sarebbe lanciato in una vasta campagna di acquisto legale di armi leggere e pesanti dall?Europa centrorientale e dalla Cina. Si va dai kalashnikov agli aerei di combattimenti Sukhoi, passando per mortai da 81-82 mm, lancia missili SA7, elicotteri da combattimento, carri armati T-55, fucili di precisione Dragunow.
Dopo la caduta del dittatore liberiano, la fragilità permane lungo la frontiera libero-ivoriana. Il governo di transizione liberiano di Gyude Briant, assieme alla Minusil (Missione di pace dell?Onu in Liberia), sta attuando un delicatissimo programma di disarmo, iniziato nel dicembre 2003. Secondo l?Onu, circa 43mila combattenti liberiani (Lurd, Model ed ex miliziani di Taylor) sui 50mila censiti sono stati finora disarmati.
Tuttavia, centinaia di ex ribelli del Model sono fuggiti in Costa d?Avorio per combattere indistintamente a fianco dell?esercito ivoriano o delle Forze Nuove. Quelli del Lurd sono pronti a seguirli, tenendo un occhio di riguardo alla Guinea, già pronta a fare i conti con il dopo Conté. «Molti di loro», asserisce Gramizzi, «sono giovani predisposti sin da piccoli alla violenza e il distacco psicologico dalle armi è difficilissimo». Un rischio in più per un?Africa occidentale devastata da guerre e traffici di armi. Che rischiano di prolungarsi con l?instabilità della Costa d?Avorio.

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