Non profit
Qui Giampilieri, il paese delle vittime di serie B
A un mese dall'alluvione di Messina
di Redazione

Una tragedia liquidata come un affare di ordinario abusivismo. Su cui è calato il silenzio. Anche quello dei classici sms solidali È passato un mese dall’alluvione di Messina e in queste settimane a Giampilieri e negli altri paesi colpiti dalle frane del 1° Ottobre, non ha mai smesso di piovere. Prima la bomba d’acqua, come l’hanno chiamata geologi e meteorologi, che, con i suoi 300 mm di pioggia in poche ore, ha fatto crollare le montagne sopra le case e le persone. Poi la pioggia dei Media arrivati dal nord a documentare la tragedia. Infine, è rimasta soltanto la pioggerellina d’autunno, forse un po’ più insistente degli altri anni, intervallata da qualche rara giornata di sole.
Tornato in questi giorni a Giampilieri e ad Altolia, nei luoghi dove sono nato e dove vivono ancora amici, parenti, mia madre, ho visto come vivono oggi queste persone. Che dopo essere state travolte dall’alluvione vera, quella del fango e della morte, del dolore e della fuga, e dall’alluvione mediatica, quella degli inviati e delle dirette, dei Porta a Porta e dei Funerali di Stato, sono ripiombate in un silenzio ancor più irreale del frastuono fangoso e mediatico di qualche settimana fa.
Solo due cose non sono piovute. La prima, a distanza di quasi un mese, sono le risposte. Ad esempio sulle modalità di gestione e risoluzione dello stato di emergenza, come da settimane chiede il neo-comitato “Salviamo Giampilieri”. La seconda, curiosamente sono gli sms di solidarietà. Come per altre tragedie analoghe era stato attivato un numero (il 48580) dove chi voleva poteva mandare un sms del valore di un euro. Ma questo numero fantasma, di cui nessuno dei grandi media ha parlato, è stato disattivato dopo poco tempo. Come a confermare l’amara constatazione che la tragedia di Giampilieri sia stata frettolosamente catalogata come un affare di negligente e colpevole abusivismo. Come se quelle vittime fossero un po’ di serie B. Vittime, ma anche un po’ colpevoli, in fondo.
Perché a Messina quello delle costruzioni è il settore più attivo che esista. Un settore che la crisi non ha neppure sfiorato e che, dando lavoro a tanti, crea un indotto enorme che finisce per coinvolgere geometri ed operai, cementifici e trasportatori, venditori di piastrelle e di serramenti, negozi di cucine e di televisori. E su tutto, questa ossessione della vista mare. Le colline che circondano la città negli ultimi anni sono state letteralmente divorate da un speculazione edilizia che probabilmente non ha pari in Europa. La straordinaria strada panoramica che dal centro di Messina porta sino a Punta Faro, dove lo Stretto è veramente stretto, è costeggiata da una sequenza ininterrotta di nuove costruzioni anche di sette e otto piani. Tutte con questa stramaledetta ossessione della vista mare, che a uno per forza gli viene da chiedersi cosa diavolo ci sarà mai da guardare verso il mare tutto il giorno? E da anni alle prime piogge d’autunno la terra comincia a franare sotto questi bei complessi panoramici costruiti solo negli anni ’90 e dai nomi tanto evocativi: Poggio dei Pini, Mito, Complesso Aralia.
Così faceva intendere, il giorno 2 Ottobre, Guido Bertolaso (qui ormai è stato ribattezzato Bettulazzu). Trascurando il fatto che i giovani di Giampilieri, un gruppo di ragazzi svegli, colti, appassionati, erano riusciti ad arrivare a Striscia La Notizia già un anno fa per lanciare il loro grido d’allarme. All’ombra di colline ormai prive di terrazzamenti, di coltivazioni e devastate da anni di incendi e abbandono. Ragazzi che hanno visto morire sotto la frana i loro amici e che in memoria dei loro amici, e dei loro padri, non si fermeranno. Non si dovranno fermare.
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