Famiglia

Qui Teheran. Il non profit è donna

La società iraniana, dominata dai conservatori del presidente Ahmadi Nejad, le schiaccia. Ma loro si sono prese una rivincita prendendo la leadership del mondo

di Redazione

La voce di Mahnaz è ridotta al silenzio. La sua rabbia sembra passare attraverso il filo del telefono. Altre tre donne sono appena state condannate a morte per reati commessi quando erano minorenni e «per legittima difesa, essendo state aggredite da dei violentatori», dice. Mahnaz Mohammadi è un?attivista dell?ong Raahi, che in persiano significa emancipazione e che si occupa di diritti femminili. La posizione delle donne all?interno della società iraniana è regolata da leggi molto dure, che impediscono loro di rivestire diversi incarichi professionali e che le puniscono più pesantemente degli uomini, anche se complici. C?è però una grande distanza che esiste tra il paese reale e il sistema legislativo che lo dovrebbe regolare, quello che viene chiamato il paese legale. Questo è visibile in particolare nel non profit: oltre ad essere in prima fila, le donne hanno gli incarichi più importanti e ne sono la risorsa maggiore.

Per questo, quando Ahmadi Nejad è stato eletto presidente, la paura era il sentimento più condiviso dalle attiviste dell?ong Raahi. Ed anche nelle altre organizzazioni vi era una forte preoccupazione. Ora che in Iran presidenza e parlamento sono nelle mani dei conservatori, le donne hanno paura che il paese reale si conformi al paese legale, togliendo loro quegli spazi che faticosamente avevano conquistato.

Il paese legale
«A causa della legge religiosa le donne sono molto limitate sia nella vita privata che in quella pubblica», dice Mahnaz. Tuttavia durante la presidenza riformista di Khatami, l?ex presidente della Repubblica islamica, il parlamento votò alcune leggi in favore delle donne: venne alzata l?età minima del matrimonio, che passò da 9 a 11 anni, e venne approvato il Cedaw, ovvero la dichiarazione universale contro le discriminazioni sessuali.

Oggi la ratifica della convenzione è messa in dubbio dallo stesso parlamento, ora a maggioranza conservatrice. Paradossalmente le sostenitrici della mozione contro il Cedaw sono le parlamentari donne, capeggiate da Rafat Bayat, le stesse che hanno reintrodotto la divisione dei posti nell?aula dell?assemblea.

Non è il valore professionale delle donne ad essere messo in dubbio: nelle questure della Repubblica islamica, infatti, la carica di vice giudice è affidata quasi ovunque alle donne e nelle università, sebbene la percentuale di docenti di sesso femminile sia irrilevante, le studentesse spesso diventano assistenti una volta terminati gli studi, e «sono molto più brave degli studenti maschi», afferma Hassan Laghai, docente all?università di Teheran.

Il paese reale
Dove vi è una tendenza specifica verso il femminile è il non profit: qui sono le donne a rivestire le funzioni più importanti perché essendo questo un settore «più libero rispetto agli altri ambiti lavorativi, non si è costretti a trovare soluzioni alternative per le donne che, pur avendone le capacità, non possono ottenere gli incarichi più in alto», dice Mahnaz.
Il paese reale: Mahnaz, Nazi e le altre. «Molte cose sono cambiate per le donne proprio grazie all?impegno sociale», dice Ashraf Gramizadegan, ex consigliera per le politiche femminili di Khatami e direttrice della rivista Hoghooh-e Zanan, ovvero Diritti delle donne. «In molte sono uscite dalle case, si sono incontrate e hanno avuto la possibilità di costruire qualcosa che fosse a loro esclusivo uso».
Per le giovani generazioni, tuttavia, il passaggio è stato più immediato. «Ci siamo conosciute tutte all?università ed eravamo già sensibili alla questione femminile», dice Mahnaz. «La nostra esperienza è nata dal bisogno di aiutare le donne a far valere i loro diritti. Perché restare con un marito violento, ad esempio, se si ha il diritto di divorziare? Ma molte non osano farlo. Noi offriamo un aiuto legale, medico e un posto sicuro dove potersi rifugiare se si ha paura», continua Mahnaz.

Ragazze in fuga
Un?emergenza che coinvolge Raahi è quella che riguarda le ragazze che scappano di casa. In Iran è un fenomeno diffusissimo ed è in continua crescita. Una volta terminati gli studi, le ragazze scappano dalle famiglie per non restare in casa ad aspettare che qualcuno le chieda in moglie. Finiscono spesso sulla strada, cominciando a prostituirsi. «Per questo motivo abbiamo messo su una piccola fabbrica di scarpe nel sud di Teheran: così le ragazze continuano ad uscire di casa per lavoro e non scappano», spiega.

«Le donne sono in prima fila, nelle emergenze come nell?impegno», ribadisce Nazi Oskooi, direttrice dell?ong Sib che si occupa di Bam, città meridionale dell?Iran sconvolta nel 2003 da un violentissimo terremoto. «Prima del 2003 a Bam vivevano 100mila persone, ora ve ne sono il doppio: Bam è diventata infatti il centro di smistamento per il traffico della droga e dei bambini provenienti dal vicino Afghanistan. I superstiti del terremoto, che uccise 50 mila persone, sono quasi tutti orfani e donne. Sono loro che lavorano, ora».

Oskooi è riuscita infatti a far assumere le vedove degli operai di una vicina fabbrica, crollata con i lavoratori dentro durante il sisma: «Le vedove sono state assunte con i contratti dei mariti. Insomma, non hanno subito nessuna discriminazione». Nazi è molto conosciuta anche perché è un?editrice che gode di ottima fama a Teheran, dove dirige Tolou. «Nel paese vi sono 400 case editrici. La metà di queste sono femminili, ovvero editano unicamente lavori di donne», spiega Nazi. «Le scrittrici però vengono discriminate nel normale mercato editoriale. Per questo motivo esistiamo noi», conclude orgogliosa.
Di Paola rivetta

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