A Bari vecchia il futuro si costruisce a spese della criminalità organizzata. E così dove prima vivevano gli affiliati del clan Capriati, oggi si organizzano progetti educativi e aggregativi per ragazzi e attività assistenziali per giovani madri. “Urban Street” e “Sguardi di donne” si chiamano i due interventi con cui l’Arci di Bari e la Fondazione con il Sud puntano a trasformare un presidio di illegalità in un’occasione di recupero sociale. «In queste zone, per ignoranza o gravi problematiche familiari, i giovani tra i 14 e i 20 anni sono le categorie più esposte al disagio», spiega Giuliana Campanelli, responsabile Legalità per l’Arci Bari e responsabile del progetto. «Per questo abbiamo pensato di affrontare le due principali criticità: la dispersione scolastica e la maternità per le giovanissime». “Urban Street” riguarda i giovanissimi con problemi di disagio sociale e familiare: saranno organizzati laboratori di facilitazione all’apprendimento e interventi di orientamento al lavoro. «Vogliamo fornire ai ragazzi un’alternativa alla criminalità, attraverso l’offerta di un ventaglio di opportunità educative e formative», chiarisce la Campanelli. Ancor più complessa l’azione rivolta alle giovani madri, incentrata sull’assistenza psicologica e sull’educazione alla sessualità e alla maternità. E anche per questo l’Arci ha avviato una collaborazione con il consultorio di zona.
La maggior parte delle attività si svolgeranno in uno degli appartamenti confiscati. «Lì avvieremo dei laboratori sperimentali di autobiografia per immagini e apriremo uno sportello sociale di ascolto, per aiutare le ragazze a ricostruire e analizzare le proprie storie». Ma la scommessa più importante è l’acquisizione dell’autonomia. «Vorremmo arrivare alla costituzione di un’impresa sociale tra tutte le giovani donne che parteciperanno al progetto», spiega Campanelli, «e saranno loro stesse a decidere quale attività intraprendere». Perché il bene confiscato deve essere un’occasione di autopromozione: «Si deve capire che quei due appartamenti non sono dell’Arci ma di tutti. Riutilizzare quei beni vuol dire crescere come cittadino e investire sul futuro di una comunità».
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