Non profit
restauri e non profit: chi paga le spese?
Detraibilità fiscale a precise condizioni
di Redazione
Quali sono le condizioni per poter detrarre le spese sostenute da una fondazione – ente non commerciale – che sostiene finanziariamente, da sola o con altri (persone o società), il recupero di un monumento di notevole interesse storico-artistico e pertanto sottoposto alla tutela del cosiddetto Codice Urbani (dlgs 42/04)? Lo ha spiegato l’Agenzia delle Entrate a una fondazione che ha presentato interpello. Il chiarimento è contenuto nella risoluzione 10/E pubblicata il 9 gennaio 2009.L’Agenzia delle Entrate ha risposto a un interpello (con la risoluzione 09/01/2009 n. 10/E) proposto da una fondazione che intende sostenere le spese per il recupero conservativo di un immobile considerato monumento di interesse nazionale e quindi sottoposto alle tutele previste nel dlgs n. 42/2004 (il cosiddetto Codice Urbani). La prima particolarità è data dal soggetto che ha formulato l’interpello: si tratta di un ente non commerciale, ma che evidentemente possiede redditi da consentire l’applicazione dell’art. 147 Tuir: se la fondazione infatti non avesse redditi imponibili ai fini Ires, è evidente che non avrebbe alcuna possibilità di beneficiare delle detrazioni previste.
Una risposta a doppio taglio
Nella risposta data dalle Entrate non mancano i problemi interpretativi. Se infatti la fondazione eroga una somma a favore del proprietario del bene sottoposto a tutela, tale situazione non può generare alcun beneficio fiscale per la fondazione perché, sempre secondo il Tuir, affinché gli oneri siano fiscalmente riconosciuti devono essere erogati a favore dello Stato, delle Regioni, degli enti locali territoriali, degli enti o istituzioni pubbliche e degli enti non profit riconosciuti, ma non a favore di persone fisiche. Al limite sarebbero queste ultime, se e in quanto proprietarie, a poter usufruire dei benefici fiscali in quanto tenute a garantire la conservazione del bene. L’Agenzia delle Entrate precisa perciò che, affinché la fondazione possa usufruire dei benefici fiscali, deve trovarsi, al momento di sostenere le spese di restauro, nella condizione di «soggetto obbligato alla manutenzione, protezione o restauro» in base ad un titolo giuridico idoneo a conferire alla fondazione la qualifica di proprietario, possessore o anche di detentore del bene.La questione della proprietà
E se il proprietario concedesse l’immobile storico in comodato alla fondazione? La fondazione si troverebbe allora nella condizione di “detentore” dell’immobile, ma anche in questo caso l’Agenzia delle Entrate evidenzia un problema nel contratto scelto, la cui caratteristica specifica è la sua gratuità.In altri termini (anche la giurisprudenza lo ha confermato nel tempo) il proprietario (comodante) del bene non può consegnare al comodatario il bene con il fine, seppure velato, di ottenerne il suo restauro: sarebbe una violazione del principio fondamentale del contratto di comodato, cioè la sua gratuità. Tant’è che anche nell’art. 1808 del Codice civile è stato previsto che il comodatario possa chiedere il rimborso delle spese sostenute per le riparazioni straordinarie e urgenti del bene oggetto di comodato.
Come se ne viene fuori?
Le Entrate suggeriscono una via di uscita: la fondazione deve abbandonare l’idea di avere benefici fiscali nella propria dichiarazione dei redditi, ma può essere il “collettore” di donazioni raccolte da persone fisiche e imprese terze, purché la fondazione (se lo statuto lo prevede) sia la committente dei lavori di restauro. In tal caso i donatori potrebbero utilizzare sia le disposizioni previste dagli artt. 15 (detrazione d’imposta pari al 19% degli oneri sostenuti) e 100 Tuir (deduzione senza massimale della somma erogata), sia quelle dell’art. 14, comma 1, dl 35/2005 (deduzione della somma erogata sino al 10% del reddito imponibile con un massimale di 70mila euro/anno).
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