Non profit
Riportare sullo stesso pianobcura e guarigione
Ma la rivoluzione di Callahan riguarderà anche l'Italia
di Redazione

La medicina punta tutto sull’allungamento biologico.
Nel prossimo futuro non potrà più essere così… Johnny Dotti sta ultimando il lavoro sulle strategie di sviluppo di Welfare Italia, l’impresa sociale che debutterà nel 2009 con i suoi servizi di welfare e di sanità leggera e che ha come missione quella di «essere accanto alle famiglie in tutte le fasi della loro vita, dall’infanzia all’anzianità, con la capacità di: promuovere benessere». Dovrà presentare il piano entro fine anno, perciò è commentatore interessato ai ragionamenti di Callahan.
L e posizioni di Callahan mi colpiscono per questo mettere sotto accusa l’eccesso di potenza che ha preso la mano un po’ a tutti: il rapporto tra medicina, sviluppo infinito e immortalità è un nodo culturale da attaccare, e lui lo fa con coraggio. La medicina ha del tutto assorbito questa tentazione di potenza tipica dell’uomo moderno. I greci sapevano bene, invece, che il senso del limite è necessario al benessere. Infatti, traducevano la parola vita in due modi: bios e zoe. La medicina lavora ormai fondamentalmente solo sul bios credendo che l’allungamento biologico, lo spostamento del limite sempre più in là, sia il traguardo massimo, ultimo, lo scopo. Zoe, invece, nominava la vita come un tutt’uno tra materia e spirito, e proprio a quel livello si colloca la cura, cura che vale tanto quanto la guarigione.
Dei ragionamenti di Callahan mi colpisce la sottolineatura dell’importanza del benessere di base. La medicina, sostiene il biomedico americano, dovrebbe concentrarsi di più sugli stili di vita, sull’alimentazione e sui consumi, ma io aggiungerei anche su una buona modalità dell’abitare, del lavorare, del far festa. È importantissimo recuperare uno stile di vita inteso come gusto del vivere. E noi europei, se non fossimo smarriti, avremmo molte cose da dire. Infine, mi sembra importantissimo il suo recupero della morte non solo come un momento da combattere ma anche come parte della vita. L’idea del saperla accogliere come elemento sostanziale della vita dentro la socialità delle persone, dentro le comunità è infatti un modo di recuperare la fragilità come valore, o almeno come dato. «Sorella morte», diceva San Francesco.
I ragionamenti di Callahan mi ricordano le posizioni di uno miei autori preferiti, Ivan Illich che nel 1971 in Nemesi medica. L’espropriazione della salute avvertiva dell’importanza di rimettere nelle mani delle persone il potere sulla loro salute. Se la salute, infatti, dipende sempre da interventi esterni, i costi sono destinati ad impazzire sempre più, i costi economici ma anche quelli sociali, psicologici. Se ciascuno di noi non impara a considerare la propria salute un bene e come tale a curarla, si finisce con l’impazzire.
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