Ifatti spesso accadono all’improvviso, anche se annunciati. Lo sgombero del campo rom di via Rubattino a Milano è un blitz impressionante per la contemporanea capacità di azione congiunta del Comune e delle forze di polizia e per la durezza dell’informazione collegata a questo intervento. Un fiore all’occhiello del vicesindaco De Corato e dell’assessore ai Servizi sociali, Tiziana Moioli, con la Prefettura ad ascoltare il tentativo di mediazione delle associazioni e dei cittadini che da tempo, nel quartiere, cercano forme di integrazione e di tutela, specialmente dei bambini e delle mamme. La normativa internazionale prevede che non si possa fare uno sgombero senza fornire un’alternativa abitativa e senza una notifica individuale alle persone adulte. Nessuna di queste condizioni minime di civiltà e di diritto sembra che sia stata presa in considerazione.
Le cronache sono state veloci e scarse, giusto qualche sottolineatura del fatto che i bimbi nomadi andavano regolarmente a scuola nel quartiere e che l’unica a fornire un aiuto, seppure temporaneo e frammentario, è stata la Chiesa, con le parrocchie, con la Comunità di Sant’Egidio, con la Casa della Carità. E poi qualche consigliere comunale, qualche associazione umanitaria. Lo sgombero è avvenuto all’alba della giornata in cui si celebravano i diritti dell’infanzia. Appare evidente quanto sia difficile difendere i diritti dei rom in una società spaventata e insicura, e di fronte a situazioni abitative e di igiene ai limiti della tollerabilità. Ma resto sconvolto dall’assordante silenzio attorno a questo episodio che ha coinvolto 300 persone, ora sparse nel territorio, senza alcuna tutela, senza alcuna speranza. Siamo sicuri che sia questa la strada per migliorare la sicurezza dei cittadini? Siamo sicuri che facendo finta di non vedere, siamo poi in grado di tutelare davvero gli altri diritti, quelli dei disabili, dei poveri, degli anziani, delle persone fragili della “nostra” comunità?
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