Ecco il testo del comunicato in cui Maria Mocanu consigliere onorario del presidente del Senato della Romania, invita i suoi connazionali a non aderire alla manifestazione.
«La comunità rumena non deve farsi coinvolgere in un azione che invece di difendere i diritti può solo creare un ghetto nel quale rinchiuderci. Come consigliere del Presidente del Senato Rumeno, sento il dovere di invitare la comunità rumena in Italia, a non aderire allo sciopero dei migranti, previsto per il prossimo 1 marzo. La Costituzione Italiana, garantisce ad ogni lavoratore il diritto di sciopero, e ogni lavoratore è libero di esprimere la richiesta dei propri diritti anche tramite questa forma di lotta. Sono però altrettanto sicuro che, aderire ad una forma di protesta come questa, sia un danno per la nostra comunità. Infatti , per usare le parole del ministro Maroni, dopo i tremendi fatti di via Padova a Milano, è giunto il momento di “lavorare tutti insieme” e di evitare il rischio di creare nuovi ghetti, nuove situazioni di auto isolamento. Sono consapevole che anche la nostra comunità avrebbe motivo di esprimere le proprie ragioni, di denunciare le situazioni di sfruttamento e di chiedere più controllo nel mondo del lavoro. In quanto cittadini europei, siamo chiamati ad maggiore responsabilità e a far valere le nostre giuste ragioni all’interno e con gli strumenti dell’ordinamento italiano, al fianco e con i lavoratori italiani come anche sottolineato dalla presa di posizione delle maggiori confederazioni sindacali italiane. La nostra comunità è espressione, al pari di quella italiana, di un popolo di lavoratori, di una cultura del “fare” e dell’intraprendere, come dimostrato dalle oltre 25.000 partite iva aperte fino al 2009 da cittadini rumeni. Non partecipare a questo sciopero, non significa non lottare per i propri diritti e per quelli dei propri figli ma, invece sottolineare il nostro rifiuto verso ogni forma di ghettizzazione e esclusione dal tessuto sociale italiano, dimostrando, per usare le parole del Presidente della Camera Fini, che non vogliamo rifugiarci “in identità pregresse formando ghetti di autoesclusione’ ma aprirci al tessuto sociale, economico e produttivo dell’Italia”».
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