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Salvate il soldato Aziz
L'ex ministro degli Esteri di Saddam condannato a morte per aver perseguitato i movimenti religiosi
di Redazione

L’ex braccio destro del dittatore iracheno, Tarek Aziz, è stato condannato alla pena capitale. La comunità internazionale insorge e i giornali italiani danno ampio spazio alla sentenza (giunta sette anni dopo l’invasione dell’Iraq).
- In rassegna stampa anche:
- IMMIGRAZIONE
- INDONESIA
- FISCO
- WIKILEAKS
- INQUINAMENTO
- CARCERE
- BERLUSCONI
- ASILI
- GP A ROMA
Alla condanna a morte di Tareq Aziz il CORRIERE dedica l’editoriale di Paolo Valentino “Il giudice di Bagdad” . Scrive Valentino: «Provoca lo scatto della ragione la condanna a morte dell’ex scudiero di Saddam Hussein… non c’è dubbio che la condanna a morte colpisce e sorprende anche per il ruolo vero o presunto che l’ex ministro degli Esteri svolse nella crudele satrapia di Saddam. Non colomba, perché non c’erano colombe in una dittatura nefanda e sanguinaria come quella irachena. Ma sicuramente volto meno arcigno e livido del regime. Nella sceneggiata baathista, Aziz era l’attore incaricato del dialogo con il mondo esterno, protagonista di tutte le estenuanti trattative con cui il regime cercava di truffare ogni interlocutore… Non è presunta moderazione di Tareq Aiz un motivo in più per criticare la sentenza capitale. A morte non si condanna nessuno. Serve però a far risaltare l’accanimento vendicativo con cui l’attuale governo iracheno affronta il regolamento di conti con il passato. Sul fondo le sue colpe restano incontestabili e imperdonabili. Invocare, come ha fatto Aziz durante il processo, il ruolo quasi tecnico del diplomatico, esecutore di ordini, mai coinvolto nelle azioni mortifere del rais, è un espediente antico… usato dai diplomatici dell’Auswaertiges Amt sotto Hitler. Ci sono voluti 60 anni di silenzi e sei di di seria ricerca per stabilire che non furono servitori obbligati del regime, ma volonterosi carnefici del dittatore. Anche Tareq Aziz lo è stato. Per questo va fatta giustizia senza giustiziarlo». All’interno sono due le pagine dedicate all’ex numero due di Saddam, cattolico caldeo e “volto presentabile” del regime condannato per “persecuzione di partiti religiosi” in riferimento ai massacri degli sciiti. Per questo il figlio, Ziad Aziz, in esilio ad Amman, legge la persecuzione di suo padre come un nuovo, grave segnale di destabilizzazione interno. Contro l’esecuzione si moltiplicano le proteste della comunità internazionale e l’Italia sembra uno degli Stati più attivi, con dichiarazioni di Napolitano e Frattini, le iniziative di Pannella, che ha aggiunto lo sciopero della sete a quello della fame iniziato venti giorni fa, e di Emma Bonino, che sta cercando adesioni in Senato a una mozione per sospendere l’esecuzione.
Anche LA REPUBBLICA apre con “Iraq, pena di morte per Tareq Aziz. L’Europa: fermatevi”: il quotidiano diretto da Ezio Mauro sceglie la fotonotizia in taglio basso. Secondo la tv di stato, la decisione si spiega con «il ruolo da lui svolto nell’eliminazione dei partiti religiosi». Una sentenza inattesa da Aziz e dai suoi legali e che suscita le reazioni della comunità internazionale. Mentre la Chiesa si augura «che la sentenza non venga eseguita, proprio per favorire la riconciliazione e la ricostruzione della pace e della giustizia in Iraq», l’Ue chiede clemenza «perché la pena di morte è inaccettabile in tutti i casi e in tutte le circostanze». Anche il presidente Napolitano, dalla Cina, ha condiviso l’appello Ue. Il commento è di Adriano Sofri: “La burocrazia del boia”. Una condanna inflitta a più di sette anni dall’invasione dell’Iraq suona come una vendetta, non come una giustizia. Aziz rappresentava il volto ipocrita del potere iracheno, sottolinea Sofri, «un’ipocrisia cui buona parte dei poteri occidentali era felice di prestarsi per convenienza d’affari e per il pregiudizio legato alla buona educazione anglosassone e alla fede cattolica». D’altra parte la condanna della pena di morte fatta da molti occidentali è un fatto significativo: un impegno «se non per ricostruire il passato, per immaginare un futuro meno tetro».
Ampio spazio su LA STAMPA per la condanna a morte di Tareq Aziz. Lancio e doppio commento di spalla in prima, e due pagine (la 8 e la 9) sul caso. Mimmo Candido racconta di un uomo mite, astuto, e per nulla in balia dei voleri del Raiss, quanto piuttosto scaltro nel dover sopravvivere alla corte di un despota. Lui, unico cristiano e non parente, che consigliava Saddam Hussein, raccogliendo i pareri delle cancellerie di tutto il mondo e riportandoli a Baghdad nelle mani del dittatore, ma di cui proprio Hussein sapeva sfruttare le particolarità senza però che quelle stesse particolarità incidessero sulle proprie scelte, come racconta Jerold Post, psichiatra e consulente CIA che su Aziz ha un’opinione ben precisa: «Saddam non ascoltava mai nessuno». Per tornare invece alla cronaca di un giornata in cui si sono susseguite critiche da tutto il mondo politico occidentale alla scelta da parte della Corte suprema irachena di condannare a morte Tareq Aziz per le persecuzioni contro gli sciiti, va segnalata la posizione del Vaticano, da subito in difesa del diritto alla vita del braccio destro di Hussein. “Il Vaticano: lo salveremo con la diplomazia”: è questo il titolo dell’articolo a pagina 8 a firma Giacomo Galeazzi. Il Vaticano, infatti, attraverso il portavoce papale Federico Lombardi, accoglie l’appello degli avvocati dell’ex vicepremier cristiano per una richiesta di clemenza del Pontefice. È in preparazione «un intervento umanitario per fermare l’esecuzione e favorire la riconciliazione e la ricostruzione della pace e della giustizia in Iraq dopo le grandi sofferenze attraversate». Non sarà una presa di posizione «in forma pubblica», bensì una mediazione «per le vie diplomatiche a disposizione della Santa Sede». A sollecitare l’attenzione della Curia sono stati soprattutto Shlemon Warduni (vescovo di Baghdad, leader carismatico dei Caldei e membro in Vaticano del Consiglio Speciale per il Medio Oriente) e monsignor Philippe Najem, procuratore dei Caldei presso la Santa Sede.
A Tarek Aziz è dedicata l’apertura di pagina 17 del SOLE 24 ORE “Tarek Aziz condannato a morte”, con un pezzo di Alberto Negri, che sottolinea: «Se la giustizia irachena non fosse così sbrigativa, non ci sarebbe il sospetto che si voglia chiudere la bocca a un testimone scomodo che aveva accusato la nuova leadership di avere consegnato il paese all’Iran. Nell’agosto scorso, alla vigilia del ritiro degli americani, sul Guardian lanciò un avvertimento. “L’America e la Gran Bretagna hanno ucciso l’Iraq ma quando si fanno degli errori bisogna correggerli: pensavo che lo facesse Obama ma è un ipocrita, sta lasciando l’Iraq alla mercé dei lupi”. E i lupi per lui sono, naturalmente, gli sciiti e i loro sponsor iraniani».
Un richiamo in prima pagina per IL MANIFESTO la notizia della pena di morte comminata a Tareq Aziz cui viene dedicato l’articolo di apertura a pagina 8. «Anche sull’ex vice di Saddam Hussein si abbatte la vendetta del nuovo regime che governa il paese: deve essere impiccato. Ma l’Europa e il Vaticano si mobilitano: fermare le esecuzioni altrimenti non ci sarà mai pace» si legge nel richiamo all’articolo nelle pagine interne intitolato: «La vendetta del nuovo Iraq A morte anche Tareq Aziz». L’articolo che ricostruisce la condanna e la biografia di Aziz, nato da famiglia cristiano-caldea con il nome Mikhail Yuhanna, si conclude osservando che: « La giustizia, quella nei confronti degli ex esponenti del regime, sembra l’unica azione che va avanti spedita nell’Iraq del dopo Saddam, anche perché non si va molto per il sottile. Dopo la raccapricciante esecuzione di Saddam anche questa condanna a morte pregiudicherà il futuro del paese».
«Appelli: salvatelo» è l’occhiello del richiamo in prima pagina di AVVENIRE. Il tema è sviluppato a pagina 21: «Lo aveva previsto lo scorso agosto: “Obama sta lasciando l’Iraq in mano ai lupi” aveva dichiarato al Guardian. Lupi sciti, al posto degli americani a cui si era consegnato nell’aprile del 2003 (…) Una punizione che giunge tardiva, ma capace di seminare nuova vendetta in una Baghdad da sette mesi senza un governo in carica». Nella stessa pagina vi sono altri due articoli: uno dedicato a ricostruire il percorso politico e biografico di Aziz e un secondo dedicato alle reazioni dal titolo «La Santa Sede auspica “che la sentenza non venga eseguita”»
Su IL GIORNALE Giuseppe De Bellis nota «che non si può metter a morte quel criminale di Tarek», Fausto Biloslavo ricorda le vicende del numero 2 di Saddam Hussei e conclude la biografia di Aziz che riesce a sopravvivere a tutto: «Dietro le sbarre sopravvive a un infarto. Per lui si mobiliteranno in molti e forse si salverà la pelle ancora una volta». De Bellis scrive: « Uccidere un uomo cattivo non rende giustizia. Fa assomigliare solo di più a lui. Allora non è perché Tarek Aziz è malato, né perché è vecchio, né perché sette anni dopo il suo arresto si sente solo puzza di vendetta. È solo questo: la condanna a morte per il numero due di Saddam Hussein è sbagliata. Punto. È un errore, una sconfitta, una vergogna. È il miglior modo di continuare a essere un Paese senza pace». Continua de Bellis: «Tarek Aziz è stato il più furbo di tutti: si faceva dipingere come la parte presentabile di una dittatura impresentabile. C’è uno strano sentimento di riabilitazione in queste ore, qualcosa che suona come un «non si può ammazzare proprio lui». La condanna a morte è un pezzo di inciviltà che ci portiamo a spasso da troppo tempo. Purtroppo ce ne ricordiamo soltanto quando serve. Questo è uno dei casi e lascia il sospetto che il risveglio della comunità internazionale arrivi solo perché si tratta di un personaggio che in passato è stato molto abile a farsi amici. Ci sono giorni in cui in Iran, negli Stati Uniti, in corea del Nord, in Cina nello stesso Iraq viene ucciso qualcuno. In questi giorni si fa fatica a trovare qualcuno che si indigni. Poi arriva il turno di Tarek Aziz e il mondo cade sulla terra: così la pena di morte diventa una vergogna a gettone».
Inoltre sui giornali di oggi:
IMMIGRAZIONE
IL SOLE 24 ORE – A fianco del pezzo con i dati sul rapporto Caritas, un approfondimento di Karima Moual “L’operaio Jamel compra casa ma lontano dalla città”, che segnala una nuova tendenza: «Dapprima erano i mestieri che gli italiani non vogliono più fare, ora la nuova tendenza sono quei piccoli centri, sempre più anziani, vuoti e grigi, che gli immigrati iniziano ad abitare, ringiovanire e vivere. Mentre i giovani italiani abbandonano sempre più spesso questi centri per le grandi metropoli, gli immigrati ne vedono infatti le possibili opportunità, disposti come sono a fare anche i lavori che gli italiani non vogliono più fare. E sempre per quell’obiettivo finale: la stabilità lavorativa e abitativa per la propria famiglia. (…) Si tratta di piccole realtà amministrative che vanno dai 15 ai 25mila abitanti, hanno un’incidenza di stranieri superiore al 20%, a volte il 35%. Telate, Branzate, Arzignano, Pioltello piuttosto che Pravisdomini: sono solo alcuni dei nomi dei nostri comuni multietnici, difficili da ricordare, come i nomi degli stranieri che ancora fatichiamo a memorizzare». Al tema immigrazione è dedicato anche uno dei commenti anonimi, dove si dice che i dati Caritas parlano « d’integrazione e di crescita comune, non d’invasione». «Anche perché, ed è questa la statistica forse più interessante, le finanze pubbliche italiane beneficiano – tra contributi e imposte – dell’apporto degli stranieri per 11 miliardi l’anno, contro un esborso in servizi sociali di non più di 10 miliardi. Un saldo attivo, dunque, che smentisce chi teme una concorrenza tra poveri sul mercato del welfare e delle politiche sociali. E tuttavia quelle paure sono comprensibili se si tiene conto di un altro dato del rapporto: in alcuni piccoli centri la concentrazione di immigrati arriva a superare il 35% della popolazione. È lì, in quei paesi, in quelle comunità, che si annidano sempre di più le paure e i conflitti. E non c’è da sorprendersi se poi a Novara c’è chi impone ai negozi la traduzione di qualsivoglia scritta “etnica”».
AVVENIRE – È dedicata al dossier statistico Caritas Migrante e alla situazione di Rosarno l’apertura di AVVENIRE: «Il fatto. Sono 5 milioni gli stranieri residenti nel nostro Paese. In Calabria si torna a dieci mesi fa: centinaia di persone nei campi in condizioni orribili». «Rosarno, come prima E la Caritas: gli immigrati producono l’11% del Pil italiano». La foto di apertura, subito sotto il titolo, è in un box colorato ed è dedicata a «Il diritto di emigrare il dovere di integrarsi» che presenta il messaggio del Papa per la giornata del migrante intitolato «Una sola famiglia umana». Tre le pagine dedicate a questi temi, dalla 5 alla 7: la prima riporta diverse immagini e il reportage di Antonio Maria Mira inviato a Rosarno intitolato «Rosarno, bentornati nel ghetto». A pagina 7 invece è riportato il testo integrale del messaggi papale e in un box l’intervento di monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti.
LA STAMPA – Doppia pagina (14 e 15) dedicata al dossier Caritas. E due brevi reportage su altrettanti luoghi di un Italia multietnica: a Castiglione delle Stivere, piccolo paesino del mantovano, dove convivono ben 70 nazionalità diverse, e “Nel borgo ligure dove uno su tre è di Eurolandia” ad Airole, in provincia di Imperia. Qui, su 493 residenti, gli stranieri superano il 31 per cento.
INDONESIA
CORRIERE – “Sisma, tsunami, vulcano: strage in Indonesia” è il titolo della fotonotizia in prima sulle devastazioni nell’area di Sumatra che hanno causato centinaia di morti e dispersi e migliaia di evacuati. Impotenti i soccorsi a causa del diluvio del monsone. L’emergenza spaventa per quello che i bilanci possono rivelare quando si scoprirà quanti tra i dispersi si sono salvati rifugiandosi nella giungla.
FISCO
ITALIA OGGI – “Giro di vite fiscale sul no profit”, titola in prima pagina il quotidiano milanese. Il riferimento è a una sentenza del la Cassazione che ha stabilito la revoca delle agevolazioni fiscali alle associazioni senza scopo di lucro che vendono sporadicamente servizi a terzi. La Corte ha accolto il ricorso dell’amministrazione finanziaria rovesciando la decisione della Commissione tributaria regionale di Milano. All’interno se ne occupa Alberici a pag 32. Nelle motivazioni la Corte ha ricordato che è esclusa la natura commerciale delle attività svolte dagli enti associativi in favore dei propri associati, ma non anche quella delle attività a pagamento svolte nei confronti di terzi.
WIKILEAKS
LA REPUBBLICA – Intervista a Julian Assange: “Così sfido il Pentagono e le banche in nome della battaglia per la verità”. Teme per la sua vita, l’editore di Wikileaks e lancia accuse al giornalismo che ha abbandonato le inchieste: «credo ci sia domanda di giornalismo d’inchiesta da parte dei lettori, ma il costo a parola in rapporto alle altre forme di giornalismo è alto, specialmente per il giornalismo sovvenzionato da interessi particolari».
INQUINAMENTO
IL MANIFESTO – L’apertura del MANIFESTO è dedicata ai rifiuti tossici “Sudici” è il titolo a sfondare sulla grande foto di un fusto tossico sulla spiaggia di Amantea. Idrocarburi, arsenico, cromo, cobalto, antimonio, nikel: ad Amantea, in Calabria, le industrie non ci sono ma i veleni sì. Scaricati nel fiume Oliva da decine di aziende. Lo confermano le analisi dell’Arpacal consegnate ieri alla procura. Intanto il governo vara la legge pro-Ilva che legalizza l’inquinamento atmosferico e condanna a morte la città di Taranto. E a Brindisi sequestrate sette camini del petrolchimico: utilizzati per smaltire rifiuti. “I fantasmi di Amantea” è il titolo principale mentre a pagina 3 di spalla c’è l’articolo dedicato al decreto che «alza i livelli di tollerabilità delbBenzoapirene».
CARCERE
IL MANIFESTO – “Simone condannato come Cucchi” è il titolo dell’articolo di Manconi e Calderoni che parte in prima pagina per proseguire a pagina 6 dove sono pubblicati gli articoli dedicati sia al caso Cucchi sia a quello di Simone La Penna morto a Rebibbia per denutrizione. Entrambi gli articoli sono richiamati in prima pagina. Nell’articolo firmato da Manconi e Calderoni che a pagina sei ha un secondo titolo “L’ennesimo calvario” si legge: «Simone La Penna muore in carcere e il suo corpo è ridotto a poco più della metà di com’era prima di entrarvi. Deperito, prosciugato, come svuotato» e si cita un altro caso, quello di Simone Ciuffreda, che nel 1999 è «morto nel carcere di Regina Coeli per qualcosa che possiamo definire abbandono terapeutico. Gli erano stati concessi i domiciliari, ma non c’erano abbastanza volanti e poliziotti per accompagnarlo a casa e, così, è rimasto in carcere più di quanto la legge disponesse. La terapia prescrittagli non prevedeva metadone, che pure assumeva tramite il SerT presso cui si curava. I sanitari del carcere sottovalutarono le sue condizioni, non garantirono la vigilanza medica per oltre ventiquattr’ore e Ciuffreda venne portato in ospedale quando ormai era troppo tardi».
BERLUSCONI
CORRIERE – Paginone e richiamo in prima (“Fenomenologia del Cavaliere”) per il lancio del nuovo libro di Beppe Severgnini “La pancia degli italiani, Berlusconi spiegato ai posteri”. Racconta Severgnini che nel suo girovagar per il mondo infinite volte si è sentito chiedere perché Berlusconi “regna” in Italia da 20 anni. La risposta in 10 motivi. L’epigrafe del libro è rubata a una frase di Giorgio Gaber: «Non ho paura di Berlusconi in sé. Ho paura di Berlusconi in me».
ASILI
LA STAMPA – Ci risiamo. Dopo il caso di Adro, a riconquistare le pagine dei giornali è il piccolo comune di Pont-Saint-Martin in Val d’Aosta. Questa volta l’amministrazione, però, non si è limitata a non dare più il servizio di mensa dell’asilo a chi non aveva pagato la retta, ma ha pubblicato sul sito del comune i nomi di piccoli e grandi, rei di cotanto affronto all’erario locale. Segue polemica. E sdegno. Anche LA REPUBBLICA riferisce la notizia, riportando l’autodifesa di un impiegato: «È la procedura prevista dal regolamento comunale secondo il quale le persone morose vengono avvertite prima con un sms poi con una telefonata diretta e infine con una lettera affinché possano chiedere l’esenzione dal pagamento delle rette se in difficoltà economiche. Nessuna delle otto famiglie ha risposto». Forse ammette il sindaco elencare i nomi dei bambini è stato un po’ troppo. Forse…
GP A ROMA
LA REPUBBLICA – “Colata di cemento con la scusa della Formula 1”. il 9 novembre ci sarà la conferenza di servizi che dovrebbe esprimersi sul progetto per il Gran premio: due palazzi di cementi da una parte e dall’altra delle Tre fontane, davanti ai marmi bianchi dell’Eur. 80mila metri cubi (che si aggiungono ai 150mila da costruire nell’ex Velodromo) contro i quali scendono in campo le associazioni: Italia nostra, coordinamento comitati dell’eur, La vita degli altri onlus.