Isola in fiamme

Sardegna, operatori e volontari in campo contro gli incendi: «Non ci arrendiamo, ma l’emergenza pare non finire mai»

Dopo le devastazioni degli ultimi giorni centinaia di operatori e volontari sono al lavoro per le opere di bonifica dei territori attraversati dalle fiamme. Un intervento fondamentale che può evitare guai peggiori: «Ci sentiamo disarmati, perché uomini e mezzi sembrano non bastare mai. E neppure la buona volontà. Le istituzioni investono parecchi soldi ma, di fronte a questo fenomeno, tutto appare insufficiente. Non ci arrendiamo, siamo sempre pronti a partire ovunque ci chiamino»

di Luigi Alfonso

Amato e temuto allo stesso tempo. Il maestrale è il vento salvifico che fa respirare la Sardegna nelle torride estati: asciutto e fresco, spazza via il caldo-umido soffocante e molte sostanze inquinanti presenti nell’aria, soprattutto vicino alle aree industriali. Il problema è che è pure una delle principali armi in dotazione a chi vuole appiccare un incendio. Nel giorno del 42esimo anniversario della tragedia di Curragia (l’immenso rogo che colpì la Gallura, in particolar modo Tempio Pausania, dove il 28 luglio 1983 perirono nove persone e si registrarono anche 15 feriti gravi, senza tener conto dei danni ambientali, alle case e alle aziende), è il momento dell’ira collettiva. Ieri, giornata da allerta arancione, l’episodio più rilevante è stato quello nel paradiso di Punta Molentis, alle porte della rinomata Villasimius: le fiamme, sospinte dal vento che batteva a circa 100 km/h, sono arrivate a ridosso della bellissima spiaggia, costringendo i bagnanti a cercare soccorso in mare, prima che intervenissero a salvarli le imbarcazioni della Guardia costiera. Non c’è scappato il morto per puro caso. Decine le auto distrutte nell’adiacente parcheggio a pagamento. Al miracolo si è gridato anche durante lo scorso week end, quando una parte del Medio Campidano è stato incenerito dal passaggio di alcuni incendi alimentati dal maestrale, sino ad arrivare a pochi metri dai centri abitati di Serramanna e Villacidro.

«Ancora una volta incendi, ancora una volta devastazione», tuona l’arcivescovo di Cagliari, monsignor Giuseppe Baturi, in una nota diffusa oggi dalla diocesi. «La Chiesa locale è profondamente provata da queste circostanze per i danni materiali ingenti, ma anche per quelli morali evidentemente inquantificabili. E la nostra terra, già segnata da numerosi disastri ambientali, si trova oggi a dover affrontare una nuova ferita». E ancora: «La Sardegna, pur ferita, ha la forza di riprendersi, ma solo se lavoriamo insieme, con solidarietà, per ricostruire e per prevenire il ripetersi di simili disastri. È un momento che chiede di rinnovare l’impegno per la protezione dell’ambiente e per il bene comune. Non permettiamo che la nostra terra venga distrutta, lavoriamo insieme per proteggere ciò che ci è stato dato in dono».

La presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, nei giorni scorsi ha diffuso una nota nella quale si leggeva: «Chi danneggia il proprio territorio, a volte in modo irreparabile, per disattenzione, negligenza o, peggio, per dolo, si macchia di una colpa terribile. A queste persone voglio ricordare che il Corpo forestale e gli altri organi di polizia giudiziaria lavorano incessantemente per accertare i fatti e assicurare alla giustizia i responsabili di questi gravi reati».

Quella degli incendi è una piaga ormai diffusa su tutto il pianeta, ma che in Sardegna ha radici profonde, anche culturali. Trovare i colpevoli è impresa ardua, talvolta ai limiti dell’impossibile. Le cause di questo fenomeno sono tante. Un esempio: nei giorni scorsi, nell’isola di San Pietro, sono andate in fumo alcune decine di ettari di terreni agricoli e macchia mediterranea, più alcune strutture e una casa a uso abitativo. L’incendio è stato causato da un barbecue che uno sprovveduto ha acceso vicino a un campo di stoppie, sfidando il buonsenso e le norme antincendio più elementari. E questo non è affatto un caso isolato. In tante altre occasioni, gli investigatori hanno appurato che le fiamme sono partite nel corso di lavori che hanno generato scintille, anche casualmente, ma che in certe giornate diventano incontrollabili.

Luigia Cappai, presidente dell’associazione Masise

«Nei giorni scorsi siamo intervenuti a Soleminis», spiega Luigia Cappai, presidente del Masise, un’associazione di volontari che dal 1984 opera nell’ambito della protezione civile e del servizio antincendio. «È stato doloroso e difficile consolare la proprietaria di una casa lambita dalle fiamme, che si è salvata per pura fatalità. Invece è andato distrutto l’adiacente casolare, e con esso il bestiame. La donna, in lacrime, era sotto shock. Di queste situazioni ne abbiamo vissuto tante. Troppe. Ci sentiamo disarmati, perché uomini e mezzi sembrano non bastare mai. E neppure la buona volontà. Le istituzioni investono parecchi soldi ma, di fronte a questo fenomeno, tutto appare insufficiente. Non ci arrendiamo, siamo sempre pronti a partire ovunque ci chiamino. Ieri stavamo per recarci a Punta Molentis, per dare una mano d’aiuto ai colleghi di Villasimius, ma siamo stati richiamati per intervenire a protezione della pineta di Sinnai, nei pressi della nostra sede, minacciata da un rogo. Non riesco a comprendere che cosa possa spingere una persona a commettere un fatto così grave che mette in pericolo le persone, le case, gli animali, l’ambiente».

Le auto distrutte dall’incendio di Punta Molentis (foto Vigili del fuoco)

Oggi centinaia di operatori e volontari sono al lavoro per le opere di bonifica dei territori attraversati dalle fiamme. Un intervento fondamentale che può evitare guai peggiori. Tre anni fa, infatti, il gigantesco incendio del Montiferru che minacciò il paese di Cuglieri e distrusse 13mila ettari di boschi e oliveti (nonostante l’impiego di 7.500 uomini, 7 Canadair e 13 elicotteri), si sviluppò nelle ore successive al primo episodio, circoscritto in poche ore, proprio perché non furono fatte le necessarie bonifiche. I tizzoni ardenti, alimentati dal maestrale, avevano ripreso vigore e fatto partire di nuovo le fiamme, attraversando paesi e campagne, seminando il terrore. Per quei fatti, non si è trovato un colpevole. Con buona pace di chi ha perduto l’azienda, la casa, il bestiame, decine di anni di lavoro e di vita. Per non parlare degli irreversibili danni ambientali in una delle zone più suggestive della Sardegna.

Un’impressionante immagine dell’incendio di Villacidro del 26 luglio 2025

Sull’onda emotiva della tragedia di Curragia, fu istituito il Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione Sardegna. Sino ad allora, il servizio era affidato a una settantina di forestali dello Stato. Ma è paradossale che il personale attualmente in servizio sia insufficiente: appena 1.170 persone tra operativi e amministrativi. Molte di loro sono ormai prossime alla pensione: nel giro di quattro o cinque anni, l’organico verrà quasi dimezzato. L’età media è di 57 anni. È dunque auspicabile che sia bandito al più presto un concorso pubblico. Sono anziani anche moltissimi operai dell’Agenzia regionale Forestas e delle Compagnie barracellari, che svolgono un prezioso lavoro di presidio nei territori. Nelle giornate in cui la Protezione civile regionale dirama l’allerta arancione, come è accaduto nei giorni scorsi, vengono potenziate le vedette. Ma non basta.

Gianluca Cocco, comandante del Corpo forestale della Regione Sardegna

«Con il vento di questi ultimi giorni, diventa molto complicato fronteggiare un incendio boschivo», spiega l’ingegnere Gianluca Cocco, comandante del Corpo forestale. «Negli ultimi 30 anni, in Sardegna, abbiamo contato una media di 3mila incendi l’anno. Nel 2024 siamo scesi a 2.250, quest’anno non posso fare anticipazioni perché i conti si fanno alla fine, però siamo nella media come numero di eventi e di ettari percorsi dal fuoco. Quest’anno l’emergenza è iniziata più tardi, grazie alle piogge primaverili, ma è partita con il botto: a giugno, con le temperature elevate, si sono moltiplicati gli incendi. Non sempre le cause sono di natura dolosa: in 30 anni, i nostri nuclei di polizia giudiziaria hanno redatto 12mila comunicazioni di notizie di reato, di cui diecimila per cause dolose e duemila colpose. Negli incendi, spesso non emergono prove certe ma soltanto indizi. Spesso parliamo di incuria, magari dovuta all’uso di smerigliatrici e altri attrezzi utilizzati senza alcuna cautela, in giornate come quella di oggi. Una casistica rilevante riguarda l’abbruciamento di stoppie, sempre in giornate a rischio, oppure l’incustodia e la mancata bonifica di fuochi accesi da campeggiatori o agricoltori. Il numero maggiore dei casi probabilmente riguarda l’uso di mezzi meccanici a fiamma o elettrici, che producono scintille. Ci sono poi le linee elettriche con cattiva manutenzione. La casistica è davvero ampia».

Operazioni di spegnimento (Cfva Sardegna)

«Sono entrato nel Corpo forestale 27 anni fa», riprende il comandante Cocco. «Sono davvero incredulo di fronte a certi comportamenti scellerati. Arrivo a comprendere un piromane, cioè una persona malata di mente, ma non riesco a farmi una ragione del fatto che qualcuno, per conflitti o vendette, arrivi ad appiccare il fuoco deliberatamente, a volte a danni della pubblica amministrazione per assunzioni non avvenute o per creare allarme nella struttura antincendi. A volte si tratta di autentici criminali».

La fasce parafuoco, che consentono di creare ampie strisce di terra prive di vegetazione, sono previste dalle norme ma spesso non realizzate. In Sardegna si moltiplicano gli ingressi nelle spiagge a numero chiuso, ma se i parcheggi sono nel bel mezzo di una pineta, ricca di alberi resinosi, si rischia di restare in trappola in caso di emergenze di questa portata.

«Nel periodo dal 15 luglio a ferragosto, la Sardegna diventa una polveriera», sottolinea Sergio Talloru, segretario regionale del Sindacato autonomo forestali – Saf e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. «La vegetazione è totalmente disidratata ed è ricca di olii essenziali e resine, dunque alimenta il fuoco in maniera impressionante. Non è solo un problema di incendiari o di criminali: molto spesso si tratta di banale incuria. Penso alle numerose sigarette gettate per terra, a pezzi di vetro e buste di rifiuti abbandonati nelle campagne, a tutte quelle azioni che possono innescare un incendio. Molte persone commettono gesti del genere senza neppure pensare alle conseguenze. In molte parti della Sardegna c’è ancora una cultura che spinge a risolvere in maniera errata le diatribe con il vicino. Solo che spesso la situazione sfugge di mano».

Sergio Talloru, segretario del Sindacato autonomo forestali

«Ci sono i vincoli di bilancio che legano tutte le pubbliche amministrazioni in merito al personale, e noi non sfuggiamo alla logica che regola le assunzioni di nuovi operatori», continua Talloru. «La legge finanziaria dello Stato stabilisce che la Regione non possa superare la spesa del 2013. Il problema è che in Sardegna abbiamo circa 1.170 dipendenti del Corpo forestale, ma il 30% di loro non è idoneo alla lotta attiva. Noi non possiamo andare in pensione prima dei 67 anni; tuttavia, lo dicono i medici competenti, dopo i 60 anni d’età l’idoneità alle operazioni di spegnimento non può essere la stessa di giovani di 20, 30 o 40 anni. Come sindacato chiediamo alla Regione di intervenire nelle opportune sedi nazionali, affinché il Corpo forestale regionale venga equiparato ai Vigili del fuoco e al Corpo dello Stato, oggi in capo ai Carabinieri, il cui personale può andare in pensione a 60 anni: non è una scorciatoia per godere di un privilegio, bensì la presa d’atto dei limiti fisici dovuti all’età. Il ricambio generazionale deve avvenire quando il personale è ancora efficiente: oggi, il 40% degli over 60 non è nelle condizioni di partecipare allo spegnimento di un incendio, dove spesso siamo costretti a intervenire con temperature vicine ai 45°C».

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