Cultura
Schmitt, quando le differenze servono a unire
Recensione del libro "Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano" di Eric-Emmanuel Schmitt (di Luca Ribolini).
di Redazione

Le differenze uniscono. Un ragazzo francese sedicenne e inquieto, fragile, di origine ebraica e un uomo maturo, musulmano, saggio e in pace con la vita: ecco i due protagonisti di Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano. Ambientato nella Parigi dei quartieri popolari degli anni 60, il breve romanzo di Eric-Emmanuel Schmitt, da cui è stato tratto l?anno scorso il film omonimo, racconta con un tono narrativo asciutto e, a tratti, quasi infantile l?amicizia tra due persone.
Queste, all?inizio della loro relazione, hanno in comune solo il quartiere di residenza, poi diventano amici e confidenti e, infine, padre e figlio adottivi. Tra rimproveri avvilenti, confronti col fratello maggiore e silenzi dolorosi da parte del padre naturale, piccoli e spavaldi furti nella bottega di generi alimentari del turco Ibrahim e prime esperienze sessuali con le prostitute del rione, il ragazzo – Momo – lasciato dalla madre ancora piccolo, scopre nel commerciante un inaspettato amico. Alla morte del padre, che si è tolto la vita per motivi economici, egli arriva a considerare il vecchio turco come un altro genitore, iniziando così a percepire un diverso modo di affrontare la vita. Dopo l?incontro col ragazzo, la stessa cosa succede ad Ibrahim, un uomo, prima di allora, non più abituato a sentirsi fare molte domande. Momo riesce a superare gli abbandoni che lo hanno intensamente segnato con l?affetto, la disponibilità e le parole del Corano da parte di Ibrahim.
Di fronte alla fretta di conoscere e giudicare le situazioni del ragazzo, l?uomo risponde che il segreto della felicità è la lentezza. E lo prova con un lungo viaggio fatto attraverso l?Europa. Questo è compiuto con l?automobile acquistata in contanti da Ibrahim, suscitando la meraviglia del concessionario, e battendo percorsi urbani comuni al posto delle anonime autostrade. È un?esperienza che rivela al ragazzo la personalità del nuovo padre: fiducioso in Dio, capace di assaporare le gioie quotidiane e di affrontare i pericoli, anche i più drammatici, come l?imminenza della propria morte, poi avvenuta in un incidente d?auto.
Momo, il cui vero nome è Mosè, e che per questo si sente imparentato ad Ibrahim, cioè Abramo, ritorna a Parigi, solo e in autostop: è diventato un uomo. È pieno di ricordi, ha capito l?importanza della tolleranza verso gli altri e la capacità di superare il risentimento nei confronti di chi l?ha fatto soffrire. A Parigi diventa l?erede del negozio di Ibrahim. Non odia più il padre né la madre. Riprende, anzi, sotto un?altra identità un rapporto con quest?ultima: la introduce nella sua famiglia e permette ai suoi figli di chiamarla ?nonna?. Nel suo quartiere, ora, è lui quello che viene chiamato l??arabo?, e non più Ibrahim.
Luca Ribolini
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.