Sono stato a un incontro del nascente The Hub di Rovereto, «a place for people with ideas», come recita lo slogan, non originalissimo, per un luogo che invece vuole chiamare a raccolta innovatori sociali. Tra le varie esperienze, una fondazione per l’arte contemporanea che si è rivelata il piatto forte della serata. A iniziare dal nome, che è un’opera d’arte (con tanto di registrazione). Rimane costante il mese di fondazione (March) per le questioni legali e amministrative, ma poi la ragione sociale varia col passare del tempo. Insomma, se oggi li chiamate al telefono vi risponderanno: «Pronto, Fondazione December…». Questo perché la sua mission è sviluppare pensiero laterale nelle organizzazioni d’impresa come strumento di problem solving. Lavorano con imprenditori che sono interessati a ospitare nei luoghi della produzione opere d’arte, ma non certo come arredo (per quello, al limite, basta telemarket), bensì come occasione per fare politica aziendale: trasmettere valori, motivazione, orientamento agli stakeholder, da quelli primari (come i lavoratori) fino ai più inconsapevoli che transitano per la sala d’aspetto.
L’arte quindi non come fruizione passiva da turismo culturale massificato – come sosteneva Pier Luigi Sacco alle ultime Giornate di Bertinoro – ma come “palestra” per allenare i presupposti cognitivi e conoscitivi dell’innovazione. La serata era per architetti e designer ed essendo il più laterale di tutti mi sono portato a casa stimoli potenti. Molte lampadine accese insomma, ma a basso impatto perché l’hotel dove ci siamo incontrati, a dispetto del nome – Nerocubo – è green e pieno di opere d’arte. Mi chiedevo, ad esempio, quali potrebbero essere gli effetti di simili interventi artistici in luoghi dai forti tratti di relazionalità e motivazione come i centri di servizio delle imprese sociali: asili, case di cura, comunità, luoghi di aggregazione, ecc. Sarebbe un incontro davvero stimolante, proprio perché la produzione di queste imprese impatta direttamente su variabili di questo tipo. Qualcosa si è cominciato a vedere alla recente Convention Cgm. Anche se la strada da fare è molta. Ricordo ad esempio bellissime foto di Berengo Gardin (mostra e libro I mille volti dell’utile) sulle cooperative sociali liguri ammucchiate nel capannone di una coop B a fine progetto Equal. Ma nonostante tutto bisogna insistere a sperimentare direttamente nei luoghi dove si producono e scambiano i beni relazionali. Sarebbe un interessante cortocircuito, forse anche per gli stessi artisti.
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