I miti delle filantropia
Se quello che abbiamo ereditato non dovesse essere ciò che lasciamo in eredità?
Una protagonista della filantropia britannica prende a spunto la propria biografia per fare un ragionamento più ampio sul posizionamento degli enti. Nuova puntata della serie curata da Elemental per VITA e pubblicata anche dal Centre for Effective Philanthropy e dall’Association of Charitable Foundations
di Louisa Mann

Individualismo. Competizione. Avversione al rischio. Visione a breve termine. Scarsità. Supposta competenza. Molte delle norme secondo cui la filantropia opera perpetuano proprio le narrative che il nostro settore cerca di cambiare. In questa serie di interventi, curata da Elemental e pubblicata anche dal Centre for Effective Philanthropy e dall’Association of Charitable Foundations, oltre che da VITA. Si tratta di autrici e autori che rappresentano uno spaccato della filantropia e che analizzeranno alcuni dei “miti” più comuni che determinano il modo in cui opera la filantropia e si chiedono “e se?”, offrendo approcci, interventi, e nuove visioni di come la filantropia potrebbe agire per un mondo più giusto.
La morte di mio padre, 15 anni fa, fu un momento di rottura. Fino ad allora ero stata impegnata a crescere quattro figli e, per molti versi, ero distante dagli affari di mio padre, un imprenditore di successo. Dopo la sua morte io e i miei fratelli siamo stati improvvisamente catapultati nella gestione di una ricchezza significativa. E così è iniziato tutto: un corso intensivo su come navigare le misteriose strutture, i sistemi, il linguaggio e le aspettative dell’industria a protezione della ricchezza.

Questo ha portato a un ‘prima’ e un ‘dopo’. Il mio ruolo principale è passato dalla cura famigliare al proteggere e far crescere la nostra dotazione finanziaria per il maggior numero possibile di generazioni. È stata una curva di apprendimento ripida, e mi sono sentita consumata dalla responsabilità. Nel cercare di guadagnare legittimità, ho iniziato a perdere il contatto con la mia “identità“ precedente. In quei primi anni c’era poco spazio per mettere in discussione lo status quo, figuriamoci rivoluzionarlo. Questo era dovuto a una combinazione di rispetto per mio padre, dovere, norme di genere, paura dell’alienazione, sindrome dell’impostore, vergogna, e un senso distorto di cosa fosse permesso o professionale.
Una partenza ingenua
Tuttavia, imparare a navigare nel settore della protezione della ricchezza da una posizione di ingenuità può significare, nel tempo, sentirsi libera di mettere in discussione i presupposti su cui è fondata e da cui dipende. In un mondo di ricchezza in eccesso, anche quando c’è più del necessario, il principio operativo è, perversamente, quello della scarsità. La logica profondamente radicata è di protezione e crescita attraverso la diversificazione degli investimenti, la gestione del rischio, e la minimizzazione delle tasse, che portano a un’accumulazione indefinita e incontrollata. La filantropia nasce da ed è influenzata da questa medesima mentalità.
Ho iniziato a lavorare nella filantropia attraverso Thirty Percy, una fondazione nata inizialmente dal nostro family office, sei anni dopo l’inizio del mio percorso di apprendimento. Mi è stato chiesto di esplorare la possibilità di costituire una fondazione e di formalizzare la filantropia della famiglia, e io ho acconsentito con esitazione, anche se non ne sapevo nulla di fondazioni. Insieme a Jen Hooke, che lavorava nel family office come consulente legale, abbiamo iniziato a capire meglio come la filantropia operasse tradizionalmente. Tutte le persone che io e Jen incontravamo erano gentili e generose col loro tempo e con il loro sapere. Non riuscivamo tuttavia a scrollarci di dosso la spiacevole sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Osservavamo le dinamiche di potere, le peculiari relazioni tra finanziatori e organizzazioni beneficiarie, i limiti delle donazioni filantropiche, e una profonda mancanza di immaginazione. Eravamo convinte che ci fosse un altro modo!

Da questa posizione di curiosità, e persino di quieta ribellione, siamo state fortunate a incontrare e collaborare con Ten Years’ Time. Hanno facilitato un percorso di apprendimento di otto mesi per esplorare Rebalancing Economies (Riequilibrare le economie), durante il quale abbiamo avuto l’inestimabile privilegio di entrare in contatto con narrative alternative, e con la saggezza delle persone più vicine alle tematiche affrontate. Questa esperienza trasformativa ha portato alla luce gli elementi iniqui e antidemocratici del sistema in cui operiamo. È stata una dura rivelazione, allo stesso tempo affascinante e travolgente, del sistema finanziario, che ci ha esposte all’idea che disimparare è altrettanto importante di imparare.
La nostra teoria di ridistribuzione del Changemaker Trust Fund è emersa da quelle conversazioni. Nella nostra realtà attuale, i leader che operano in maniera tradizionale e che spesso possiedono risorse in abbondanza, sono quelli a cui viene concessa la parte del leone di opportunità per esplorare nuove idee. Utilizzando la filantropia come oggetto transizionale, Thirty Percy sostiene leader visionari che sono stati esclusi dal sistema della ricchezza e a cui sono state negate le risorse di cui hanno bisogno. Facciamo un investimento senza restrizioni per un periodo minimo di due anni, che consente a queste persone di assumere dei rischi, riposare, sognare, e costruire ciò che lasceranno in eredità.
Reindirizzare i flussi finanziari verso la rigenerazione
Credo che sia possibile apprezzare un’eredità – finanziaria o meno – rifiutando di esserne limitati. Anziché rappresentare un ostacolo, una distrazione o una giustificazione del modello dominante di accumulo della ricchezza, chi di noi ha più di quanto ha bisogno può utilizzare la propria posizione di vantaggio per promuovere e sperimentare nuove forme di filantropia che riposizionino le infrastrutture della disuguaglianza che governano il flusso del denaro. Reindirizzando i flussi finanziari in modi che siano ristorativi e rigenerativi, mettiamo in pratica la condivisione del potere, non la compassione; sosteniamo i diritti, non il soccorso; affrontiamo i sistemi, non i sintomi; incarniamo l’umiltà, non l’eroismo; lavoriamo in solidarietà, e non per simpatia; e agiamo per il cambiamento, non per fare la carità.
Il sistema di gestione della ricchezza che sostiene la filantropia è composto da persone, prassi e politiche, il che significa che può essere reimmaginato, adattato, e sviluppato per agevolare il cambiamento. Sono stata a volte accusata di essere troppo sensibile o idealista, ma non voglio ignorare o adattarmi ai danni causati da un capitalismo sfrenato solo perchè è lo status quo. Desidero un’amministrazione onesta, voglio assumere delle responsabilità, e rivendicare la possibilità di agire per realizzare il futuro equo che credo noi tutti meritiamo.
Per me questo significa rifiutare rimanendo, perché stare al proprio posto e lavorare da dentro è un’importante forma di resistenza. Tuttavia, fare questo significa dover essere disposte a confrontarci con la nostra prolungata complicità con lo status quo, e con le conseguenti ipocrisie. Credo, però, che questo sia lo sforzo che dobbiamo fare per riconnetterci con la nostra umanità.
Nel suo sermone Essere un buon prossimo, il reverendo Martin Luther King, Jr. ha scritto: “La filantropia è lodevole, ma non deve fare trascurare al filantropo le circostanze di ingiustizia economica che hanno reso necessaria la filantropia.” A volte il compito che ci aspetta è così enorme da sembrare impossibile, ma la storia dimostra che quando degli agenti di cambiamento di ogni estrazione sociale si riuniscono per condividere le nostre verità e per mettere i pezzi insieme, possono rendere possibile l’impossibile.
Ricchezza come separazione
Il sistema di gestione della ricchezza produce e amplifica un senso di separazione, ed essere connessi a qualcosa che ti separa dalle cose più importanti è nocivo, sia per gli individui sia per la società in cui viviamo e che amiamo. Grazie a Thirty Percy e ai suoi numerosi, straordinari partner, sono riuscita a riconnettermi allo scopo di stare insieme, di riaccendere un senso di appartenenza, di cittadinanza.
Grazie all’esperienza fatta di prendere in mano le nostre risorse, la nostra energia e il nostro amore, possiamo ora sostenere collettivamente un futuro più resiliente ed equo. Questo è il mondo a cui vorrei che contribuisse l’eredità di mio padre, ed è l’eredità che spero di lasciare ai miei figli e alle loro famiglie.
La foto in apertura è di Alina Grubnyak su Unsplash.jpeg
Louisa Mann è presidente di Thirty Percy e direttrice di Skagen Conscience Capital.
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