La notizia è interessante. Una donna in sedia a rotelle, in Francia, viene fatta scendere dall’aereo perché non è accompagnata, viaggia da sola. La compagnia spiega questa (assurda) decisione per ragioni di sicurezza: in caso di emergenza nessuno sarebbe in grado di aiutarla. I passeggeri, e non succede quasi mai, solidarizzano con la donna disabile, fischiano, protestano. Uno di loro si offre di figurare come accompagnatore, ma non viene accettato. La notizia arriva alle agenzie e approda sui grandi media. Non mi stupisco del fatto, che appartiene alla categoria dell’ordinaria discriminazione delle persone con disabilità, condita di burocrazia e di ottusità delle persone che materialmente si trovavano a vivere il caso. Sono invece contento della reazione dei passeggeri, perché significa inequivocabilmente che una nuova cultura dei diritti si sta facendo strada, non solo in Francia.
Il diritto a volare per le persone con disabilità è sancito in Europa in modo definitivo, grazie a un regolamento approvato nel 2006, che ha un valore gerarchico nettamente superiore rispetto ai regolamenti delle singole compagnie aeree (in questo caso infatti si trattava di EasyJet, una compagnia low cost): ebbene, il diritto al volo, anche in autonomia, è consentito a meno che non ci siano gravi motivi di salute, e anche in quel caso si deve trovare una soluzione ragionevole. Non ha quindi alcun senso continuare a “proteggere” in modo discutibile le persone disabili con argomenti attinenti alla sicurezza e all’incolumità. Io stesso ogni giorno mi muovo in automobile da solo, prendo il treno, ho viaggiato spesso in aereo in piena autonomia, ben consapevole dei miei limiti, ma anche dei miei diritti, assumendomi quella quota di rischio che nella vita di ognuno fa parte dell’esistenza. Tutto il resto è chiacchiera inconcludente. O peggio, colpevole discriminazione.
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