Famiglia
Seconda generazione: in Italia sono più di 300mila i figli dellimmigrazione.
Meno integrati dei loro padri. Come favorire lintegrazione dei figli degli immigrati islamici? La parola a chi lavora sul campo. Di Stefano Arduini e Benedetta Verrini
di Redazione
Mediazione
La logica non è prevenire.
La logica buona è accogliere
Barbara Ghiringhelli, sociologa
Nel mio lavoro incontro musulmani, con qualcuno ho un rapporto molto bello, credo di poter usare il termine amicizia, con qualcun altro ho un rapporto difficile e conflittuale. Incontro tante storie di ragazzi e ragazze musulmane, mi raccontano successi, conquiste ma anche sofferenze e difficoltà. Sono la cosiddetta seconda generazione, in parte nata in Italia, in parte immigrata, composta da coloro che vivono la prima e fondamentale parte del processo di crescita a cavallo di due mondi, quello della famiglia e quello della società, mondi che si distinguono per valori, norme, tradizioni, pratiche di vita, religione, lingua.
Risuonano sempre chiare in me le parole di Justo Lacunza Balda, quando dice che l?ammettere che l?islam come religione abbia un credo ben definito e dei fari luminosi ben orientati non può però non farci rilevare che il contenuto del termine islam non sia uguale per gli uomini e le donne dell?islam, sempre e ovunque. è facile chiedersi che cosa significa l?islam per i musulmani di oggi, ciò che è difficile è dare la risposta! Non posso non ricordare anche le parole del cardinale Martini che nel 1990 scriveva in Noi e l?Islam: «Se non è facile parlare di islam in generale, più difficile ancora è definire il fenomeno dell?islam tra noi, dell?islam in Europa».
Condivido l?espressione «generazione del sacrificio», utilizzata per descrivere la condizione dei figli degli immigrati, e anche altre altrettanto esplicative «essere né carne né pesce» o «essere seduti tra due sedie». La mia esperienza sul campo lo conferma: la posizione della ?seconda generazione? è scomoda! E la responsabilità che il mondo adulto ha nel rendere più o meno faticosa tale condizione è evidente: l?adulto può sostenere nel suo percorso di crescita il ragazzo/a e può creare le condizioni affinché quest?ultimo possa realizzarsi o, al contrario, negare tutto questo. Sono la famiglia, i gruppi di appartenenza, la collettività, i luoghi in cui si gioca il benessere e il malessere delle giovani e delle seconde generazioni e il futuro della società!
Un eventuale fallimento di questo percorso, una difficile integrazione, può portare anche a quello che qualcuno ha definito «l?incistamento culturale dei vari gruppi culturali»: ovvero la costruzione da parte del gruppo di una barriera difensiva nei confronti del mondo esterno, giudicato negativamente e vissuto in modo persecutorio.
In Italia oggi per le seconde generazioni ancora molto deve essere fatto: progetti di inserimento nelle scuole professionali, percorsi di sostegno alla genitorialità in caso di nuclei immigrati, servizi di presa in carico dei disagi di questi ragazzi anche in termini di servizi di salute mentale, per poi passare ad altri livelli, quali quello del riconoscimento della cittadinanza italiana, ecc. Non c?è possibilità di delega a persone e ambienti di particolare sensibilità e competenza, è un lusso che ora non ci si può permettere, l?impegno deve essere di tutti.
E tali sforzi non devono essere fatti per prevenire il terrorismo ma per accogliere l?uomo, la persona. Così come è importante continuare a confrontarsi con l?altro cercando di aprire un dialogo con il mondo musulmano per la promozione comune della dignità umana, della pace e della libertà.
Qualcuno oggi pensa che andare in questa direzione sia da ingenui, ?stupidi?, deboli. Credo che questo sia il tempo in cui insieme alla prudenza è chiesto il coraggio! A tutti, cristiani e musulmani! Musulmani che, per primi, devono far sentire la loro voce di dissenso nei confronti di azioni che non possono, da credenti, approvare o sostenere col silenzio.
Qualche anno fa l?egiziano Fouad Zakaria ha scritto: «L?islam sarà ciò che ne faranno i musulmani». Riprendendo questa frase Franco Cardini, in un saggio del 1994 sull?incontro possibile con l?islam, scrisse: «Anche il mondo cristiano, l?Europa, il futuro saranno ciò che noi sapremo fare».
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.