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Senza stranieri l’Italia invecchia

Uno studio sulla popolazione europea lancia l'allarme: il Belpaese ha bisogno di politiche per l'integrazione degli stranieri e per la natalità

di Redazione

L’Italia invecchia. E senza il contributo essenziale degli immigrati rischia di diventare, nel giro di pochi anni, un paese decrepito e ad altissimo rischio spopolamento. L’allarme è arrivato ieri da Berlino, dove l’Osservatorio sulla popolazione mondiale e lo sviluppo globale ha presentato uno studio sui cambiamenti demografici in atto in Europa.

Secondo lo studio, l’Italia, che ha già il record della popolazione più vecchia d’Europa (ma è anche la seconda più vecchia al mondo dopo quella giapponese), rischia di perdere fino a due milioni di abitanti entro il 2030. Un problema non solo nazionale: senza immigrati l’intera popolazione Ue rischia di assestarsi attorno a quota 447 milioni di persone entro il 2050, ben 52 milioni in meno rispetto ai livelli che potrebbe raggiungere altrimenti.

L’immigrazione, secondo lo studio, è una risorsa necessaria per lo sviluppo dell’economia del Bel Paese. Solo il 4,5% della popolazione italiana è straniera, una delle percentuali più del continente. “Eppure”, si legge nella relazione, “l’Italia ha difficoltà con gli immigrati”. E poi: “Non esiste una vera regolamentazione: a intervalli regolari le sanatorie regolarizzano gli immigrati illegali”.

Per l’Osservatorio, quindi, “non esiste una strategia a favore dell’integrazione: di stranieri si parla quando a Milano un cinese apre un negozio di abbigliamento a basso costo suscitando il malumore dei commercianti locali”. Oppure, “quando una passante viene uccisa in un tentativo di furto, ci si ricorda delle migliaia di rom accampati nelle periferie delle città”. Alcune soluzioni sono già state testate con successo in altri paesi del continente, come quelli nordici e la Svizzera. Lo studio premia l’Irlanda, che grazie ad una politica di accoglienza e di integrazione “ha saputo trarre il meglio dal forte flusso immigratorio proveniente soprattutto dalla Polonia, ed è attualmente il secondo Paese in Europa per prodotto interno lordo”.

“L’Italia ha bisogno dell’immigrazione”, ha detto Reiner Klingholz, direttore dell’Osservatorio: “Per lo sviluppo del mercato del lavoro, perché gli italiani fanno pochi bambini e perché le aspettative di vita sono maggiori che altrove”. Quest’ultimo aspetto rischia di creare problemi al sistema pensionistico, se non accompagnato all’ingresso di lavoratori giovani che pagano i contributi.

Ma non è solo con l’immigrazione che si scongiura il rischio dell’invecchiamento. Servono, a parere dello studio, politiche per favorire la natalità. Nonostante le donne italiane esprimano il desiderio di avere mediamente 1,9 bambini, infatti, l’Italia registra una media di 1,35 figli, ma solo grazie al contributo delle immigrate.  “La bassa fertilità”, si legge nel rapporto, “non è una legge di natura, le donne hanno un numero apprezzabile di figli solo nei paesi che permettono loro di conciliare lavoro e famiglia”. Il rapporto mette in luce che le politiche di sostegno alla famiglia e al lavoro femminile sperimentate in paesi del Nord Europa come Islando o Norvegia, ma anche in Francia, hanno conseguito notevoli successi. La natalità non è legata, poi, al modello di famiglia tradizionale: oltre metà dei figli nati in Svezia, Norvegia e Francia, tutti paesi con tassi di natalità piuttosto alti, sono nati fuori dal matrimonio.

Lo studio completo verrà pubblicato sul numero di settembre del mensile Geo.

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