Mondo

Sergio Segio risponde ai lettori. Scacco matto alla violenza

L’ex brigatista di Prima linea aveva lanciato un’accusa dalle colonne di Repubblica (di Sergio Segio).

di Redazione

Segio è arrivato alle sue conclusioni per un parallelismo con la situazione vissuta da lui e dagli altri negli anni 70. Allora la violenza era un mito condiviso, oggi è assolutamente marginale e minoritario. Quelli sono residui di un passato che non ha nulla a che vedere con la realtà presente. Non è che Segio vede la realtà di oggi con occhiali vecchi?
(Carla, email)

Evidenziando le analogie tra il presente e il passato, ho pure invitato a tenere presenti anche le notevoli differenze di contesto, di culture, di numeri e di diversa maturità e composizione dei movimenti. Il rilievo mosso da Carla è lo stesso posto pubblicamente da molti, in particolare dell?area disobbediente (Francesco Caruso su Repubblica), ma non solo.
A queste obiezioni rispondo che non io ma le Br stesse, da un lato e, dall?altro , pezzi non indifferenti dell?attuale movimento guardano e soprattutto agiscono nel presente con logiche e pratiche vecchie. Voglio dire che pezzi del Novecento sono stati traghettati in questo secolo proprio da quelle organizzazioni e da quelle logiche, che non si sono accorte della caduta del Muro di Berlino e del cambio di millennio. Questa mi pare un?obiettività riscontrabile da chiunque abbia frequentato i luoghi e il dibattito del movimento in questi anni. La stessa rivista Carta, da sempre interna al percorso dei Forum sociali, con un editoriale del suo direttore Pierluigi Sullo, nel criticare le mie valutazioni e nell?affermare la cesura di questo movimento col Novecento, con fatica ed eufemismi ammette: “Quanto ai Cobas, fanno secondo me resistenza a non concepire più l?azione politica e sindacale come la risultante di ?rapporti di forza (che peraltro esistono, eccome), ma hanno partecipato con grande lealtà a tutta l?attività del movimento, da Genova in poi”.
Insomma, la questione della forza e della sua eventuale organizzazione è presente in settori del movimento italiano e non solo. Un movimento che effettivamente ha e ha avuto grandi tratti di novità, generazionale, culturale e politica. Credo però che, progressivamente, in questi anni nel movimento sia venuto meno o si sia indebolito il ?nuovo? proprio per l?azione erosiva e sovradeterminante delle sue componenti ?novecentesche?.

Mi chiedo: non bastavano i giornali di destra nella loro continua demonizzazione del movimento? Che cosa c?entriamo noi con quei pazzi che credono ancora nelle Br? Niente. Sono d?accordo che non è giusto negare il problema, ma qui si è passato a un eccesso opposto, all?enfatizzazione del problema.
(Roberto email)

Sono convinto che la demonizzazione o ansia di criminalizzazione del movimento da parte delle destre sia resa più praticabile dal silenzio e dall?incapacità o non volontà del movimento stesso di discutere non tanto delle Br quanto delle questioni che la loro pratica e ideologia pongono. Vale a dire della legittimità o meno dell?organizzazione della violenza come strumento di lotta politica. Giova ricordare che in questi anni, a parte gli omicidi D?Antona e Biagi, sono avvenuti centinaia di piccoli attentati.
La destra, insomma, fa il suo mestiere. È la sinistra, e in essa il movimento, che non hanno ancora voluto e saputo fare una riflessione al riguardo, ritenendola inutile o inopportuna. Come ha detto Marco Revelli: sinora dal movimento e dalla sinistra, “di sicuro non è stata fatta una scelta netta a favore della nonviolenza come strumento di antagonismo politico”. Ciò, a mio giudizio, in ragione anche di quella doppiezza di cui ha scritto Gabriele Polo in un editoriale del Manifesto. Editoriale, peraltro, che aveva aperto il discorso sull?infiltrazione e l?album di famiglia, giorni prima della mia intervista. In quell?occasione si è scelto il silenzio. Nel caso della mia intervista, poiché lanciata in prima pagina dalla Repubblica, non si è potuto fingere di nulla e si è dunque passati alla denigrazione personale e alla negazione anche dell?evidenza. È ben vero che le Br sono, come anch?io ho sostenuto, isolate e ultraminoritarie. Ma il problema non di meno è grave e dunque discuterne non è enfatizzazione ma necessità. Poiché, come tutti possono giudicare, anche quattro gatti attraverso la lotta armata e l?omicidio politico sono in grado di condizionare e interferire nel dibattito politico, che è governato non solo dai numeri ma anche dai simboli. Neppure si può sottovalutare che il crescente disagio sociale ed economico possono aumentare i rischi.

Mi ha meravigliato la reazione scomposta di tanti leader all?uscita di Segio. Non voglio entrare nel merito delle questioni sollevate. Ma è possibile che i politici di mestiere abbiano paura di un mea culpa? Bertinotti/Revelli/Cohn Bendit/Ronconi da una parte (tra coloro che hanno preso seriamente l?appello dicendo che il tema della nonviolenza è fondamentale, è un discrimine) dall?altro Casarini/Caruso/Bernocchi/Attac ecc. (che più o meno dicono che Segio si presta al nemico). Erano reazioni attese oppure c?è qualche sorpresa?
(Gabriella, redazione)

Mi aspettavo le critiche, ma non il linciaggio. Neppure mi aspettavo che l?anatema ricompattasse anime diverse del movimento. Ciò, credo, è avvenuto sia per un riflesso condizionato (difensivo ma al contempo scarsamente lungimirante); sia per la conservazione dello status quo, ovvero ognuno del proprio ?orticello?; sia perché ormai il movimento, che era nato e si era sviluppato come ricchezza di pluralità, di culture e di individui, si sta riducendo a essere una somma di sigle, per effetto della logica e della pratica ?proprietaria? e colonizzatrice delle sigle e delle organizzazioni preesistenti, ma non solo. Infatti, anche il coordinamento del Forum sociale si è accodato, definendo inaudite e inaccettabili le mie parole. Peraltro, io non chiedevo a nessuno il “mea culpa”. Non ne ho titolo né la pretesa. Ponevo la necessità di una riflessione pubblica e trasparente. Alcune delle reazioni, in particolare le interviste di Casarini e Bernocchi su Repubblica, con il loro carico di ambiguità e reticenza, con la teorizzazione che il conflitto sociale non può che essere violento, oltre (loro sì) a fornire argomenti e pretesti per una criminalizzazione indiscriminata del movimento, mi sembra confermino che le mie preoccupazioni e rilievi erano più che fondati. Per non parlare delle interviste di sindacalisti appartenenti ai Carc (vedi La Stampa del 2 novembre e Il Riformista del 4 novembre). Anzi, forse anch?io non avevo valutato appieno il livello di gravità della situazione.

Andrò a Parigi per il prossimo Social forum. Mi piacerebbe che lì ragionassimo su come si può vivere e portare avanti le proprie ragioni rinunciando alla violenza. Attorno a me vedo solo gente che vive in modo nonviolento. Forse manca una consapevolezza piena per proporre questo modello di vita anche agli altri. Ci si accontenta di averlo conquistato per se stessi.
(Piero, email)

Il programma di Parigi è molto vario e ricco. C?è anche un dibattito sui berberi. Il che è giusto e interessante per un movimento globale. Ma non c?è, come non c?è stato negli appuntamenti precedenti, alcun tema relativo alle forme di lotta, alla violenza e al terrorismo o, all?inverso, alle pratiche di vita e di lotta nonviolente.

La violenza è tutta condannabile, ma c?è violenza e violenza. Non si può mettere sullo stesso piano la vetrina rotta e chi spara. Ha ragione Casarini, una dose di violenza appartiene alla nostra vita in sé.
(Piergiorgio, email)

Che vi sia profonda differenza tra una vetrina rotta e un omicidio, è un?ovvietà. Penso però che chi scrive sul muro “Galesi spara ancora” (peraltro durante una manifestazione di migliaia di persone: e questo è un ?salto di qualità?, una rivendicazione di legittimità e di appartenenza al movimento che è stato sottovalutato) probabilmente sarà senz?altro disponibile a sfasciare un bancomat durante la manifestazione e magari a sparare anch?egli. Chi sfascia la vetrina potrebbe compiere un attentato notturno. Attentati che sono un po? più vicini della vetrina rotta alla disponibilità a sparare, ma che tuttavia non equivalgono alla gravità di un omicidio. Pure, tutti questi atti possono essere (possono essere, non automaticamente sono) anelli di una medesima catena. Lo è stato per me e per tanti altri. Insomma, la violenza politica, intesa come logica e organizzazione pratica, può essere premessa della lotta armata e, in ogni caso, né è precondizione. Nulla c?entra con questo ragionamento l?occupazione della casa o il picchetto per il contratto che, magari formalmente illegali, attengono invece la rivendicazione di un diritto.

I rischi li hai messi in luce. Ma le soluzioni? Cosa dovrebbe fare secondo te il movimento per evitare di farsi del male con infiltrazioni terroristiche?
(Riccardo, redazione)

Innanzitutto evitare la politica dello struzzo. Dunque elaborare e approfondire questa tematica, sgravando le proprie pratiche e i propri appuntamenti da ogni ambiguità e reticenza. E, a parte il non-dibattito di questi giorni, basti pensare alla manifestazione del 4 ottobre a Roma per vedere che si sta andando in direzione opposta. E poi fare una battaglia politico-culturale straordinaria e permanente che tematizzi e faccia emergere in modo condiviso e inequivocabile che la radicalità dei contenuti si può e si deve sposare con la radicalità della pratica nonviolenta.

Ti preoccupa di più chi ha reagito con veemenza alle tue parole o chi le ha lasciate cadere con indifferenza? Perché? Ti ha colpito il quasi silenzio, o la voce flebile dei cattolici del movimento? Come te la spieghi?
(Giovanni, email)

Il silenzio e l?indifferenza possono essere una reazione quanto e più perniciosa degli insulti. Francamente non mi aspettavo il silenzio dell?area di Lilliput. Forse anche chi ha nelle culture di riferimento una nozione e una pratica della nonviolenza e della disobbedienza (quella di Danilo Dolci e di Aldo Capitini, quella un po? più vera e seria del tagliare le pompe di benzina), per stanchezza o per prudenza ha rinunciato a fare questa battaglia che è politica e culturale. Pure, dal sociale qualche voce si è levata. Ad esempio, sul Manifesto del 4 novembre c?è un utile intervento di Giampiero Rasimelli, portavoce del Forum del Terzo settore. Io stesso ho ricevuto decine di email e telefonate di volontari, sindacalisti, politici e anche di attivisti nel movimento non solo di solidarietà ma anche di condivisione.

E adesso? Pensi che sarà possibile continuare il dialogo? Ci saranno luoghi deputati? Oppure Segio è ormai un appestato?
(Bruna, email)

Lasciati depositare gli insulti, potrebbe esserci più spazio e disponibilità a intervenire da parte di chi ritiene che la discussione e il confronto siano sempre e comunque una ricchezza. Me lo auguro, ma non posso dire di essere ottimista. Tuttavia, sono convinto che di tutto ciò qualche residuo positivo, una maggiore coscienza del problema comunque rimarrà. I luoghi per continuare vanno costruiti, e certo sono diversi dagli attuali. Nei prossimi mesi bisognerà verificare se ci sono le condizioni per farlo.

Sergio Segio

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