Tempo di saldi e si pensa subito all’abbigliamento. Quasi un riflesso condizionato che denota non solo il peso economico del settore, ma soprattutto la sua rilevanza, tutta simbolica, nel gratificare i piani alti della piramide di Maslow (autorealizzazione, stima, appartenenza). Anche il prezzo ormai, ben lungi dal rappresentare un parametro di costo “oggettivo” del bene, è parte integrante (e rilevante) di questo sistema simbolico. Chissà se è proprio questo aspetto ad attrarre un numero crescente di organizzazioni e iniziative che intendono realizzare i loro obiettivi sociali attraverso la moda. Un prodotto ben predisposto ad incorporare importanti elementi di valore. I casi non mancano e sono sempre più variegati: imprese sociali con brand accreditati come made in jail e cangiari, boutique del commercio equo che organizzano sfilate in collaborazione con i gas e così via. Ma ci sono anche iniziative promosse dagli operatori tradizionali del settore che così agiscono comportamenti socialmente responsabili e forse anche esplorano la nuova nicchia della moda etica, critical fashion o che dir si voglia. Un tema che si meriterebbe un cantiere del Magazine.
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