Welfare
Sognando una moschea in via Montenapoleone
In viaggio a Malaga, pensando a Milano
di Redazione
Marmo bianco ovunque, arabeschi in stile marocchino, preziosi e morbidissimi tappeti, un denso profumo di pulito e una silenziosa atmosfera di pace…di Rasha Athobiati
In Marocco succede quello che mi sarei aspettata dai musulmani di 2G europei. Il limite della libertà di fede all’interno della società musulmana è un tema ormai ricorrente sui titoli della stampa marocchina. È un tema delicato. Forse, un tasto dolente che i giovani marocchini riescono a fare emergere abbastanza spesso.
Durante lo scorso Ramadan ha fatto tanto scalpore l’iniziativa di un gruppo di giovani capeggiati da un tal Zineb Elghazaoui, giornalista del settimanale Journal Hebdomadaire e membro dell’organizzazione Movimento alternativo per la difesa delle libertà individuali: questi ha rotto pubblicamente il digiuno alla stazione ferroviaria di Mohammedia.
Zineb si è messo a mangiare in pubblico mentre gli altri schiattavano di fame per chiedere, a modo suo, l’abrogazione dell’articolo 222 del Codice penale marocchino. Tale legge proibisce ai musulmani di rompere il digiuno durante le ore di sole in un luogo pubblico, salvo la pena da uno a sei mesi di carcere e un’ammenda da 12 a 200 dirham. La bravata ha convinto altre persone a unire le forze e a fare rete su Facebook con la creazione del gruppo Mali, che in dialetto marocchino significa: «cos’hai da rimproverarmi?». Attualmente conta 1.072 iscritti.
Il Consiglio provinciale degli Oulema di Mohammedia nel suo comunicato stampa ha affermato che non può tollerare questo attentato pubblico alla religione. Il Partito della Rinascita e della virtù ha invece affermato, tramite il deputato Abdelbari Zemzmi, che «questi giovani hanno di fatto emesso un appello pubblico alla rottura del digiuno e hanno cercato di provocare i sentimenti dei cittadini marocchini reclamando la loro libertà individuale. Non è un fatto di libertà perché la vera libertà si ferma dove inizia la libertà degli altri».
Il tema della libertà è recentemente balzato alle cronache grazie alla cover di novembre del magazine Femmes du Maroc, una rivista molto seguita dal ceto medio- alto borghese del Marocco. La copertina ritrae Nadia Larguet (produttrice/presentatrice della trasmissione per bambini Entract sul canale privato marocchino 2M) incinta e nuda, con la mano sinistra che copre il seno e la destra appoggiata sul ventre arrotondato. La fotografia è stata scattata sul modello della celebre immagine di Demi Moore, datata 1991, per la rivista americana Vanity Fair. La foto ha creato imbarazzi e accese discussioni che sono ancora in atto.
Il Marocco appare, ormai, un terreno fertile per una visione riformista della libertà personale che riguarda il vivere la fede in pubblico. Secondo il sociologo Khaled Fouad Allam, «nel mondo musulmano c’è una specie di lunga notte, di buio dal Cinquecento fino ai primi anni del Novecento. In questi secoli il mondo musulmano, possiamo dire, non arriva più a produrre, non arriva più ad avere una distanza critica fra la rivelazione e la produzione di un ambito filosofico in grado di definire la libertà stessa. Un lungo silenzio che ha impedito l’evolversi e il crearsi di un’autonomia della libertà e di un nuovo individualismo. E il Novecento è la storia proprio della riconquista di questo spazio di libertà che, come noi vediamo, è spesso combattuto all’interno dell’Islam, attraverso il radicalismo islamico. È ciò che sta all’origine di tutte le contraddizioni che attraversano oggi il mondo islamico contemporaneo».
A mio parere, per poter conquistare questo spazio di libertà in un ambiente impregnato di tradizioni, è necessaria una rete di persone che possano promuoverlo all’interno di tutti Paesi musulmani e non. E forse, noi giovani di seconda generazione nati e vissuti in Europa, dobbiamo prendere la responsabilità di iniziare questo percorso.