Famiglia
Sono adottati il 5,4% dei minori che arrivano in tribunale
Il Tribunale pe i minorenni di Milano ha realizzato una ricerca esplorativa sui 2.556 fascicoli amministrativi aperti tra il 2015 e il 2018, individuando 136 casi inerenti minori adottati. Al 39% dei procedimenti amministrativi è collegato un fascicolo penale. Nel 32% dei casi, c'è un elemento di violenza familiare
di Redazione

Nei titoli di cronaca, è un aggettivo che compare troppo spesso. Come a sottolineare una distanza, un’alterità o una differenza. Ma quanti sono i minori adottati coinvolti in procedimenti amministrativi e penali? Pochi. Lo rivela una ricerca promossa dal Tribunale per i Minorenni di Milano e affidata al Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e all’Università degli Studi di Milano – Bicocca, presentata nel convegno “Il Tribunale per i minorenni incontra gli adolescenti adottati in crisi: i risultati di una ricerca esplorativa”.
La ricerca si basa sui fascicoli aperti dal Tribunale ed è volta a ricostruire dall’inizio la storia di minori che presentano comportamenti altamente problematici e che richiedono l’intervento non solo dei servizi socio-sanitari ma anche di progetti rieducativi disposti dall’autorità giudiziaria. L’indagine esplorativa è stata promossa e sostenuta dal Tribunale, nella persona della presidente Maria Carla Gatto, che ha dichiarato: «Sono stati individuati 136 casi inerenti minori adottati sul totale di 2.556 fascicoli amministrativi aperti tra il 2015 e il 2018 e chiusi al momento della ricerca. L’incidenza percentuale dei casi in esame appare quindi tutt’altro che elevata, assestandosi al 5,4% di tutti quelli trattati presso il Tribunale nel periodo di riferimento».
I procedimenti amministrativi analizzati sono 110: nel 39,1% dei casi vedono uno o più fascicoli penali associati. I fascicoli riguardano in prevalenza maschi, adottati già grandi (a più di 6, 7 anni), in cui si sommano fattori di rischio legati alla storia del minore, alla famiglia e a interventi a volte “lacunosi” da parte dei servizi sociali. In particolare, il 20% dei minori ha alle spalle una storia di abuso sessuale e il 22,7% di grave trascuratezza. Nell’89,5% dei casi i minori presentano problemi di salute e nel 63,6% hanno una patologia di tipo psichiatrico.
Al momento della segnalazione al Tribunale per i Minorenni i ragazzi hanno un’età media di 16 anni. I fattori maggiormente determinanti l’ingresso nel circuito giudiziario sono l’uso di droghe, le fughe da casa, la violenza familiare, l’abbandono scolastico e la frequentazione di ambienti devianti. Non di rado si registrano tentati suicidi e comportamenti di autolesionismo. Allarmante è il dato relativo alla presenza di violenza familiare: nel 32,7% dei casi ci sono condotte di violenza fisica nella relazione con la madre e nel 17,8% dei casi con il padre.
Le famiglie di questi ragazzi vedono genitori con elevato livello di istruzione e con un impegno lavorativo full time. L’80,5% sono coppie coniugate. Nel 20% dei casi la relazione del minore con la madre è risultata buona, nel 26,7% è stata buona la relazione con il padre.
Sulla base della ricerca sembra che il Tribunale per i Minorenni sia riuscito a incidere positivamente sui percorsi di crescita di questi ragazzi, poiché nel 47,6% dei casi, alla chiusura del fascicolo amministrativo, l’esito è stato ritenuto migliorativo, stazionario nel 30% e peggiorativo nel 20,4%. Significa che le misure adottate dal Tribunale, tramite l’attivazione di progetti sul territorio (22,8%) o inserimento in comunità residenziale (nel 67,2% dei casi, di cui per il 59,5% di tipo educativo e per il 40,5% di tipo terapeutico) si traducono in interventi efficaci.
«I dati della ricerca evidenziano che il coinvolgimento dei genitori e la loro capacità di collaborare coi servizi e col Tribunale costituiscono una rilevante risorsa associata in modo statisticamente significativo ad una maggiore probabilità di un esito positivo del percorso svolto in Tribunale», ha dichiarato la professoressa Rosa Rosnati. Certamente l’alta percentuale di ragazzi con una diagnosi di tipo psichiatrico «pone non pochi interrogativi su quali percorsi siano effettivamente efficaci, a fronte di una strutturale carenza di comunità terapeutiche per i minori», ha sottolineato la professoressa Maria Elena Magrin. Gli interventi precoci attivati nella totalità dei casi non sono riusciti a reindirizzare le traiettorie di vita e questo sollecita l’urgenza di riflettere ulteriormente su diverse possibilità di attuare un’efficace azione preventiva. D’altro canto, pur in storie di vita estremamente complesse, le famiglie continuano, in larga maggioranza, a svolgere un ruolo essenziale come risorsa di resilienza, che merita una attenzione specifica da parte dei soggetti che intervengono negli accidentati percorsi di vita dei minori e dei loro nuclei adottivi.
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