Non profit

Sorvegliare e punire

film Tutti contro tutti nella giungla delle favelas

di Redazione

C’è una scena, in questo film tutto violenza, ammazzamenti e rapidità d’azione, che coincide con una pausa nello scorrere del tempo narrativo. È un dibattito nel quale alcuni universitari analizzano un’opera, troppo presto finita sugli scaffali accademici, scritta più di trent’anni fa da Michel Foucault: Sorvegliare e punire. Un’analisi dei sistemi di custodia grazie alla quale Foucault era giunto a una conclusione per tanti versi attualissima. Fra le pieghe della vigilanza e quelle della punizione si sviluppa un “quid” che non viene per lo più esplicitato ma che è in realtà l’obiettivo profondo di quelle due azioni. E cioè il tenere sotto controllo quanti devìano da una strada presunta retta, secondo un’equazione facile: deviante uguale soggetto socialmente pericoloso. Foucault sapeva bene quale sia l’esito principale di questa identificazione perversa: l’immobilismo che schiera tutti contro tutti, usando ciascuno come vittima e carnefice insieme, e non permettendo alla collettività alcun miglioramento.
Da qui José Padilha è partito per il suo Tropa de elite – Gli squadroni della morte (miglior film all’ultima Berlinale) e per raccontare, con piglio molto deciso e ritmo che toglie il fiato, gli squadroni della morte, i loro nemici (gli spacciatori, ma in fondo l’intera società che dalla droga in un modo o nell’altro trae vantaggio), i loro finti amici (cioè i poliziotti semplici e molto molto corrotti). Ciascuno immerso in una logica micro e incapace di guardare al quadro generale, alla strategia (non a caso più volte evocata negli allenamenti da machos cui la truppa speciale si sottopone).
Non c’è scampo per nessuno a Rio de Janeiro né simpatia umana. Non la meritano gli studenti ipocriti e borghesi. Non la classe politica assente e che pare tirare le fila di tanta corruzione. Non la polizia, speciale o meno. C’è sempre un altro punto di vista che spiazza le ragioni dell’uno o dell’altro. Un continuo rinvio di prospettive che in apparenza si ferma con l’adozione di un io narrante: è il capitano Nascimento ad anticipare alcune conclusioni, è stando al suo racconto che l’azione va a passeggio nel tempo. È lui, insomma, il padrone della storia. A guardar meglio, però, ci si accorge che il capitano non usa parole sue, dà solo voce a quello che in un altro scritto Foucault ha definito l’«ordine del discorso». Ovvero una logica implicita grazie a cui un discorso non ha più nemmeno bisogno di essere “detto”: è “nelle cose”, nella loro ovvia trasparenza… da cui trae la sua forza e la sua efficacia e si insinua fra il “sorvegliare” e il “punire”.

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