Mondo
Stagione di bilanci. Fare anche quello sociale?
Una scadenza delicata per le organizzazioni
di Redazione
Tra marzo ed aprile si realizza ogni anno uno dei più curiosi fenomeni sociologici del mondo del non profit, la rendicontazione consuntiva di quanto accaduto l’anno precedente. Di per sé non ci sarebbe nulla di strano, né di curioso. Per i più distratti rammentiamo che essa consiste nell’apporre i costi e i ricavi (o proventi) all’interno di uno schema sintetico e analitico.
Dalla lettura dello schema, la persona terza – che è ignara di ciò che fate – dovrebbe capire qualcosa, non tutto, di voi. Il più delle volte questo qualcosa è spesso insufficiente, in quanto lo schema di rendicontazione riporta solo il flusso di cassa (entrate / uscite) della vostra attività che, basandosi soprattutto su attività gratuita e volontaria, per la gran parte non produce movimentazioni di cassa.
Come mettere l’ora che ho perso per regolarizzare la posizione di uno straniero? Come significare lo sforzo del volontariato a capire la persona assistita (profugo) che stenta a comunicare in un italiano approssimativo? Come riprodurre l’efficacia – più che l’efficienza – dell’aiuto amministrativo e solidale operato nei confronti degli stranieri? Spesso l’amministratore è consapevole che l’attività della sua organizzazione è benemerita più per ciò che riesce a fare senza soldi che per le realizzazioni portate a termine con le raccolte fondi. Lo strumento migliore per evitare il ricovero alla neurodeliri dell’amministratore è la redazione del bilancio sociale o di missione. In esso – anche con gli schemi dell’Agenzia per le onlus – trova spazio tanto il profilo economico che quello sociale, gli effetti dell’azione dell’associazione sul contesto sociale, sui cosiddetti stakeholde – i portatori di interesse – individuati nei soci, nei beneficiari dell’azione, nei donatori, nella pubblica amministrazione. Pertanto distinguiamo il rendiconto per il quale abbiamo obblighi ben precisi (statuto e leggi) dal bilancio sociale che, invece, è un documento che ad oggi nessuna legislazione ci obbliga a realizzare (escluse le cooperative sociali in alcune regioni, le imprese sociali e le fondazioni bancarie). Il bilancio sociale è strumento necessario proprio per quelle organizzazioni che non si riconoscono né nel rendiconto né nella breve relazione di missione che di norma accompagna un rendiconto. Se troviamo la nostra comunicazione sottodimensionata rispetto alle sfide che cogliamo, allora abbiamo bisogno di un bilancio sociale.
Infine, in merito alla certificazione, ad oggi non vi sono sistemi di certificazione dei bilanci sociali in quanto tali. Esiste una proposta interessante dell’Agenzia per le onlus che prevede l’intervento di un soggetto esterno che attesta l’adozione di certi criteri nella redazione del documento; questa attestazione farebbe incrementare la votazione che autonomamente l’ente può darsi. È già qualcosa.
Per tornare al bilancio (quello finanziario) rammento che deve essere predisposto e approvato dall’organo di governo e da questo presentato entro una certa scadenza (di norma quattro mesi dalla fine dell’esercizio finanziario) all’esame dell’assemblea. L’assemblea delibera senza il voto degli amministratori (componenti del consiglio direttivo), secondo quanto afferma l’art. 21, primo comma del Codice civile. Ricordo anche che la redazione del rendiconto è obbligatoria per una moltitudine di enti, sulla base di precise normative fiscali (anche per le raccolte pubbliche di fondi) e speciali (onlus, volontariato, promozione sociale).
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