Famiglia
Stefano Zamagni incontra il Comitato Editoriale
Milano, mercoledì 28 marzo. Il Comitato editoriale di Vita ha incontra il professor Stefano Zamagni, presidente Agenzia per le Onlus. Ecco il resoconto
di Redazione
Partire dalla coscienza e dalla stima
Noi sappiamo che il terzo settore è frutto maturo dello stadio avanzato delle società, è figlio dello sviluppo non del sottosviluppo tant?è vero che nei Paesi in via di sviluppo non c?è. E questo è un paradossso: quei Paesi o quelle regioni – pensiamo anche alla nostra Italia- dove ci sarebbe bisogno di queste forme associative, lì ce ne sono di meno. Non è casuale perché la stessa cosa era capitata 150 anni fa e più con la cooperazione. Vi siete mai chiesti perché l?impresa cooperativa nasce in Inghilterra nel 1844? Perché l?Inghilterra allora era il Paese più sviluppato. La stessa cosa mutatis mutandis vale per il terzo settore, che è figlio dello sviluppo e insisto su questo perché chi opera in questo settore non ne ha esattamente questa percezione. Ancora l?idea prevalente è del non profit come frutto di qualche buonanima che si adopera per gli altri. Questo è un modo riduzionista di interpretare il ruolo del terzo settore che non giova agli altri e a noi stessi. Dico noi stessi perché io faccio parte del mondo del volontariato da quando avevo 14 anni, tuttora per due mesi sono presidente di una ong che adesso devo lasciare perché ho assunto questa nuova carica. Quindi dico noi perché appartengo a questo mondo da sempre, m?identifico con esso e posso dire dall?interno che c?è questa autosottovalutazione.
La seconda implicazione è che il Terzo settore ha bisogno di imprenditorialità; nel dire questo so che qualcuno storcerà il naso e fraintenderà perché quando dico imprenditore tutti associano l?imprenditore a quella particolare figura storica che è l?imprenditore capitalista, ma questa è una degenerazione nostra, è la colpa del terzo settore non avere insistito perché a forza di dire che nel non profit non si può essere imprenditori di fatto si è lasciato campo libero agli altri che hanno detto allora siamo noi gli imprenditori, cioè quelli che lavorano per il profitto, mentre l?imprenditore è prima di tutto un soggetto non profit. Storicamente le prime imprese nascono come imprese non profit per almeno tre secoli. Poi è arrivata la rivoluzione industriale che ha fatto nascere il capitalismo ed è accaduto quello che oggi tutti sanno e cioè che l?impresa è uguale a impresa capitalistica, tant?è vero che se io dico ai soggetti del non profit voi siete i veri imprenditori questi quasi si scandalizzano. Ma questo è un male perché essere imprenditori vuol dire essere capaci di innovazione, ma soprattutto d?innovazione sociale. E chi, più e meglio di chi opera nel non profit, è capace di innovazione sociale? Come si fa a negare a sé stessi il ruolo d?imprenditori? Questo ritardo culturale ha portato a forme di autoflagellazione al nostro interno non ha giovato allo sviluppo del terzo settore italiano perché noi ci siamo sottovalutati lasciando quindi spazio agli altri che hanno evidentemente avuto buon gioco.
La novità degli ultimi anni è che il mondo del pubblico e del privato hanno ormai capito, anche se non lo dicono apertis verbis, che hanno bisogno del terzo settore o meglio hanno capito che un ordine sociale di un Paese avanzato come l?Italia non può andare avanti solo con la gamba del pubblico e la gamba del privato ma ha bisogno della terza gamba che è quella del civile. Pubblico vuol dire Stato, enti locali, privato è appunto l?impresa privata, il mondo del mercato for profit. Sono gli stessi soggetti del pubblico e del privato che, in epoca recente, hanno preso atto della loro inadeguatezza, anche dal loro stesso punto di vista. Qual è il paradosso? Secondo me è che il mondo del non profit non si è reso conto di questo. E? un? asimmetria: gli altri sanno quanto importanti siamo noi, noi invece non ce ne rendiamo conto. Di fronte a questa sottovalutazione perdiamo perché gli altri ci sfruttano, il pubblico sfrutta con le gare al massimo ribasso e il termine sussidiarietà è diventato ormai sinonimo di outsourcing, esternalizzazione; anche il privato ne ha scoperto la potenzialità e ha cambiato atteggiamento verso il terzo settore. Quindi gli altri due ambiti riconoscono la indispensabilità del terzo settore, mentre noi continuiamo a sottovalutarsi. Di fronte a questo ci sono due atteggiamenti opposti: da una parte coloro i quali tendono a chiudersi a riccio per paura di ?contaminarsi?, perché è chiaro che quando si va a dialogare col pubblico o col privato il rischio potenziale della contaminazione o dello snaturamento c?è. Questa è la strategia di Kafka. ben descritta nel libro ?La tana? dove un ?animale arriva a difendere la sua tana al punto di rendere impossibile la vita a sé stesso e di arrivare alla morte. Oggi c?è questo rischio: molti soggetti in buona fede del non profit per paura di perdere la propria identità si chiudono nella tana accettando una lenta ma inesorabile eutanasia.
L?altra strategia per la quale personalmente mi batto, è quella di accettare la sfida e, ovviamente, vincerla e lo si può fare solo riaffermando la nostra identità.
Perciò. credo che oggi la prima sfida del terzo settore sia quella dell?identità. Identità vuol dire riconoscersi ed essere riconosciuti, cioè prima il soggetto deve riconoscere se stesso, in secondo luogo deve agire strategicamente per essere riconosciuto dagli altri. Affermare la propria identità è l?unico antidoto che io vedo per scongiurare il rischio dello snaturamento di cui avvertiamo i sintomi. Uno snaturamento che può derivare dagli appetiti del mercato, o dalle sempre risorgenti tentazioni clientelari dell?apparato pubblico. Ma per riconoscersi bisogna aumentare il tasso di acculturazione; oggi nel settore non profit c?è molta formazione tecnica, forse troppa, ma ancora troppo poca cultura.
Non più leggi speciali
Il terzo settore non può neppure andare avanti a colpi di leggi speciali: per le ong, il volontariato, le cooperative sociali, le onlus, le associazioni di promozione sociale, l?impresa sociale, e così via. Perché le leggi speciali sono contro il principio stesso di sussidiarietà. Significherebbe, infatti, lasciare il terzo settore in balìa del potente di turno che dice: per accontentarti e farti star zitto ti faccio una legge speciale. Possibile che per fare le cose che tutti dicono fondamentali ci voglia la buon?anima di qualche gruppo politico che in un dato momento ti fa la legge speciale?
Si è molto discusso in questi anni, per esempio, della riforma della legge 266/91 sul volontariato, e se ne parlerà tra pochi giorni a Napoli. è una discussione in corso ormai da cinque anni, ma in cui non si capisce bene quale sia la via che si vuole intraprendere. Cosa vogliamo fare? La vogliamo cambiare oppure no? E se sì, come? All?interno di una legge quadro del terzo settore? Alcune forze politiche, lo sapete, si muovono in questa direzione, su Vita ho letto anche di alcune resistenze. Resistenze che, qui parlo davvero a titolo personale senza esprimere alcuna posizione dell?Agenzia, condivido, perché il rischio è che una legge quadro tenda a omogeneizzare tutto, a eliminare le diversità. E questo sarebbe un guaio notevole.
Spesso si confonde la diversità con la differenza. Le due parole hanno due significati completamente diversi. Perché, la diversità è riferita alla dimensione qualitativa, la differenza alla dimensione quantitativa. Differenza indica il più o il meno; diversità, invece, esprime una pluralità di carismi e caratteri. Il terzo settore, oggi, ha la necessità di far fiorire tutti i suoi fiori. Il rischio è che una legge quadro spinga verso una uniformità, per cui la ricchezza del nostro non profit potrebbe venir compromessa.
Diversità nell?armonia
Ecco perché affrontare il nodo della riforma della legge del volontariato è importante ma nel quadro di questa discussione, chiarendosi bene cosa si vuole. Farebbero male i gruppi di volontari se dicessero «A noi interessa solo la nostra legge» perché il volontariato è parte fondamentale del terzo settore, una parte con una sua specificità e diversità rispetto agli altri soggetti del terzo settore, ma è una parte che deve anche avere la coscienza dell?intero. Se il volontariato oggi dicesse «Siccome quelli delle imprese sociali e delle cooperative sociali ci fanno la concorrenza, allora noi vogliamo tutelare la nostra nicchia», farebbe un clamoroso autogol. Invece bisogna reclamare la propria diversità avendo presente l?armonia dell?intero sistema del ?civile?. Ecco perché bisogna che dentro il mondo del terzo settore cominci a spirare aria nuova rispetto alle nostre piccole guerre.
La via del Testo unico
Personalmente io sono contro la legge quadro, ma a favore di un Testo unico. Il Testo unico è una legge che serve a razionalizzare, ad eliminare duplicazioni, contraddizioni, disparità di trattamento, a rendere più spedito ed efficiente il modo di applicare le leggi. L?esempio è il Testo unico sulla finanza pubblica. Il terzo settore ha bisogno di un Testo unico, non di una legge quadro.
Un Testo unico incoraggerebbe i diversi soggetti del terzo settore a coordinarsi tra di loro, significherebbe mettere intorno a un tavolo i rappresentanti del volontariato, i rappresentanti delle ong, quelli delle cooperative sociali, delle associazioni di promozione sociale. L?input ad un Testo unico, infatti, non potrebbe che partire dal basso, da un accordo tra i soggetti ancor prima che tra terzo settore e istituzioni. Se invece si fa la legge quadro, te la fa il parlamentare che magari non sa niente di questo mondo e vi impone le sue regole. O che magari sa troppo e ha i suoi interessi.
5 per mille, prof, che fare?
Capisco le vostre proteste sul 5 per mille, avete ragione a rivendicare dei dati certi sulla dichiarazione Irpef del 2006, avete ragione nel sottolineare il grave ritardo dell?Agenzia delle Entrate. Però bisogna riconoscere che nella Finanziaria 2006 sono stati fatti degli errori. L?errore fu quello di dire al mondo del non profit: fai domanda, e sarai ammesso al 5 per mille. Ora, l?Agenzia delle Entrate dice: «Poiché ultimamente la responsabilità è mia, devo fare tutti i controlli, e con il personale che abbiamo, per controllare 30mila soggetti abbiamo bisogno di molti mesi». Nella legge Finanziaria 2007 si è provato a correggere quell?errore permettendo all?Agenzia delle Entrate di fare i controlli ex ante. Poi, dice la nuova legge, entro il 30 aprile 2008 pubblichi i risultati. Quindi, l?anno prossimo il 1° maggio tutti sapranno quello che sarà loro dovuto. Invece, i soldi dell?anno scorso chissà quando li avremo, può darsi che li avremo anche dopo l?estate. Il punto è che il bene va fatto bene. Non basta far la legge buona, come il 5 per mille, occorre anche, e soprattutto, farla bene perché se la fai male, nullifichi il vantaggio. Abbiamo ragionato su questo anche come Agenzia e l?idea su cui abbiamo convenuto è che entro ottobre, quando comincerà la Finanziaria, faremo una nostra proposta per migliorare ancora il dispositivo. Ovviamente, non la faremo calare dall?alto, ma ne discuteremo con tutte le parti in causa.
La riforma del Codice Civile
La Commissione Pinza, acui ho partecipato, ha lavorato per la revisione del libro I titolo II del codice civile, cioè la parte che riguarda le associazioni, le fondazioni e i comitati, quindi il nostro mondo. Fra tre settimane consegnerà la bozza al governo.
Quella parte è rimasta al 1942, quando c?era ancora il fascismo, quindi è una parte che risente molto da vicino dal regime ?concessorio?, Tutte le dittature, di destra e di sinistra, non amano il terzo settore, perché non amano i corpi intermedi della società.
Il regime ?concessorio? significa che un soggetto per operare doveva ottenere un permesso per decreto prefettizio o del presidente della repubblica. Eliminare questo significa che un soggetto che vuole fare un?associazione vanno dal notaio e basta, non dovrà più chiedere il permesso preventivo al prefetto, al capo della Regione o allo Stato. Ciò comporterà un aumento dell?assunzione di responsabilità, ci sarà una massima libertà statutaria e un controllo sarà ex post.
L?altra novità è la possibilità per associazioni e fondazioni a svolgere attività d?impresa, rimanendo associazioni e fondazioni. Adesso non potete fare attività d?impresa senza lo scopo di lucro. L?unica eccezione sono le cooperative e le imprese sociali, anche se queste però non sono ancora entrate in funzione visto che mancano 4 regolamenti.
Con la riforma proposta dalla commissione Pinza l?associazione potrà dire che per perseguire le sue finalità ha bisogno di creare un?impresa perché la forma associativa è troppo limitante, e lo potrà fare senza snaturarsi.
È un?importante svolta. Con la legge attuale il terzo settore si mantiene nano, perché senza l?attività d?impresa sarà sempre piccolo e quando uno è piccolo può essere schiacciato. La legge non mette o toglie un vincolo, cambia la mentalità, e manda un messaggio. Se noi continuiamo a dire ai soggetti del non profit che non possono fare attività imprenditoriale ma fare solo opere caritatevoli, va a finire che i soggetti saranno sempre dei nani e che l?attività non profit sarà fatta dal profit.
Se non si cambia questo, è ovvio che tra dieci anni vi faranno concorrenza e vinceranno loro. Perché le regole della concorrenza saranno basate su quell?assetto normativo che è il quadro disegnato dall?impresa dal codice civile. Ecco allora che questo secondo aspetto oltre al primo è molto importante. Perché dà un messaggio del tipo: cittadini italiani, se voi volete, uno non è obbligato, potete fare attività di impresa che non ha scopi lucrativi. Del resto, siamo ospiti di Vita, una spa non profit, ma lo è grazie a una legge speciale, quella dell?editoria.
L?accesso al credito
l?accesso al credito oggi è la più patente violazione dei diritti umani fondamentali, perché voi sapete che l?accesso al credito è un diritto umano fondamentale. So e ho vissuto personalmente le vostre sofferenze. A volte sono preso da un furore. Con l?ong che presiedo noi operiamo con gli americani, e devo dire con il governo americano mi trovo benissimo mentre con l?Europa è un disastro. A Prodi quand?era presidente glielo avevo detto: l?Europa ti dà i soldi ex post, ma io che sono una ong come faccio io ad anticipare tutti quei soldi. Perché l?Europa me li paga dopo sei- sette mesi. Ma come si fa a non capire queste cose? Invece gli americani sono meglio. Hanno mille difetti, ma con loro si lavora benissimo. Quando ti approva il progetto ti danno subito un terzo, il 33% in cash poi ogni due mesi tu mandi lo stato di avanzamento e ti liquidano tappa dopo tappa. Non è una ragione tecnica al comportamento dell?Europa, perché se fosse tecnica perché gli americani fanno così? Ecco perché dovremo arrivare a creare un mercato dei capitali per il non profit. Se si riuscisse a convincere il mondo della cooperazione, penso a Coop o a Unipol o a Bcc, a fare questo? Perché la cooperazione se volesse potrebbe in Italia creare un mercato dei capitali esattamente per venire incontro a queste cose, per risolverle.
Questa è una battaglia lunga, e anche su questo come agenzia vogliamo giocare la nostra partita.
Rappresentanza
L?Agenzia, e questo è importantissimo, non è un vostro organismo di rappresentanza, ma un organismo governativo. Quello che l?Agenzia può fare, come facilitatore è di incoraggiare voi a fare quello che dovete fare. Ieri c?è stato il primo incontro a Roma con il Forum del terzo settore. Ed è stato molto utile, perché faremo un protocollo d?intesa anche con loro per la prima volta: quando si fa un protocollo d?intesa c?è scritto chi deve fare che cosa. Se nel Procollo c?è scritto che quella certa iniziativa la deve fare il Forum e poi non l afa, allora residualmente, come vuole il principio di sussidiarietà, io agenzia intervengo e tu Forum non puoi più protestare. Siccome il Forum rappresenta il 90% del non profit italiano è importante che prenda l?iniziativa su tutte le esigenze che qui ho sentito.
Noi adesso abbiamo attivato un programma di audizioni, mi raccomando venite. Voi potete chiedere. Il consigliere delegato è Edoardo Patriarca che conoscete, scrivete chiedete di essere auditi. Venite là e portate tutte le vostre lamentele, noi dopo le raccogliamo e possiamo andare al tavolo del governo e appoggiare le vostre lamentele. Se però voi non vi lamentate al governo possono sempre dire te lo sei inventato tu. Quindi per favore chiedete.
Le regole
A me la parola regole non mi piace, sto dalla parte di Giacinto Dragonetti. Quando siamo stati da Napoletano che ci ha ricevuto al Quirinale gliel?ho accennato e lui sapeva chi era. Mi ha stupito perché in Italia non lo sa nessuno, Ma Dragonetti era di Napoli come il Presidente. Allora, gli è tanto piaciuto che alla fine mi ha detto, professore dobbiamo ristampare ili libro. E adesso sto facendolo ristampare e io gli ho detto: ma se noi lo facciamo ristampare, lei presidente ci fa la prefazione? E lui si è impegnato a farlo.
Dragonetti era di Napoli, il 1767 l?anno di pubblicazione del libro ?Delle virtù e dei premi? che in Italia non conosce nessuno, neanche i professori ed è un dramma. Dragonetti spiega che più delle punizioni funzionano i premi e sono d?accordo con lui.
Ci mancherebbe altro, che io non dia importanza alle regole ma le regole ci sono. Quello denunciate, cioè la guerra tra poveri all?interno di segmenti vari del terzo settore non è dovuto al fatto che non ci sono le regole. Perché le regole ci sono. Allora come fa a dire che non ci sono? Lei forse voleva dire che manca chi le fa rispettare. Ecco il problema. Provi ad andare lei a far rispettare questo tipo di regole. Sarebbe come dire: tutti debbono allacciare la cintura di sicurezza, tutti devono andare ai 130. Come si fa ad essere così astratti. Il problema però non è che dobbiamo affidarci alle regole e al legalismo. Dobbiamo agire a monte e cioè chiederci come mai succedono queste cose. La prima cosa è di cambiare il modo con cui gli enti locali fanno le gare. Eliminare la regola del massimo ribasso. Anzi qui dò un?idea a voi di Vita. Voi sapete che il primo autore a parlare contro le gare al massimo ribasso è stato Ugo Grozio, grande giureconsulto nel 1620. Perché non lo ristampate. Già lui allora lo diceva, non c?erano le cooperative sociali, però lui aveva capito tutto e diceva: quando il sovrano, anche a quell?epoca bisognava attribuire il compito a qualcuno di accudire, pulire strade ecc., fa le gare al massimo ribasso distrugge la società. Lo diceva già allora. Il punto è che i comuni ti dicono: noi abbiamo vincoli di bilancio. Quindi noi non dobbiamo agire sulle regole che ci sono, ma intervenire sulle cause. Ecco perché, lo avrete notato, io in apertura ho detto che bisogna che il terzo settore si autonomizzi, perché fintanto che va a rimorchio del privato o del pubblico rimane residuale. Questo succede quando c?è tra di voi qualcuno che per avere i soldini certi accetta anche di prenderne pochi e così sfrutta i suoi collaboratori. E? un?indecenza. Che lo sfruttamento di tipo capitalistico debba avvenire da soggetti non capitalistici oltre a essere inaccettabile è anche stupido. Almeno il capitalista si intasca una parte del sovrappiù. Occorre che tra di voi ci sia più orizzontalità, più capacità di rete e più democrazia.
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