Mondo
Storia di ordinaria Uganda alle porte di Milano
Viene da Kitgum. Lo scorso 18 aprile ha seguito a distanza il dramma di due suoi nipoti rapiti dai ribelli di Joseph Kony per farne piccoli soldati (di Giuditta Castellanza).
di Redazione
«Quella notte hanno deciso di dormire a casa». Una sola, maledetta notte. Loro sono una famiglia di night commuters (pendolari della notte) da anni e per lunghi periodi; il 18 aprile scorso non si sono rifugiati nel vicino ospedale. Sembrava tranquilla, quella notte. «I ribelli sono arrivati in silenzio, armati, nella capanna di mio fratello a Kitgum e senza sparare un colpo si sono portati via i due bambini». Inghiottiti dall?erba alta e dalla follia di quella che non è una guerra civile ma qualcosa di molto peggio, come Vita ha raccontato sui numeri 25 e 26 di quest?anno. Il più grande, Anywar, ha 14 anni, Okan invece è nato tre anni dopo; vivono con lo zio da quando la mamma è morta di Aids, un anno e mezzo fa.
La storia di questi due bambini la racconta un?altra zia, Ayoo Pellegrini, 30 anni, di Kitgum, che da tre vive nel nostro Paese con il marito italiano. Fa effetto incontrare in un appartamento alle porte di Milano il dramma del Nord Uganda, il grido di dolore per quei bambini rapiti dai ribelli dell?Lra di Joseph Kony e violati nel corpo e nell?animo per farne soldati contro il loro stesso popolo. Un dramma che lei sta vivendo qui in Italia, dove le arrivano notizie di una situazione che peggiora di mese in mese. I due ragazzi li vediamo nella foto che lei mostra. Sono alti e smilzi, sorridenti accanto alla sorellina di 7 anni, vestiti in ordine, con l?aria timida. Due bambini.
La notizia è arrivata al telefono, la mattina presto. Era il fratello di Ayoo, disperato. «Sono stata malissimo, Okan aveva un?ulcera tropicale alla gamba, temevamo che lo uccidessero perché non in grado di camminare. Invece è stata la sua salvezza. L?hanno abbandonato per strada mezzo morto dopo due settimane di cammino; di villaggio in villaggio la voce è giunta a mio fratello che è andato a prenderlo». Lui si è salvato, ma «di Anywar non sappiamo nulla da due mesi». Prega per lui ogni giorno, che sia vivo, e che riesca a fuggire, «ma lui è timido, temo che non sia abbastanza scaltro per scappare». Anche la stessa Ayoo, quando aveva 12 anni, si è salvata dai ribelli perché ha iniziato a correre. Come se i piedi fossero l?ultima difesa di questi bambini, come se in Africa fosse una questione di velocità. Gazzella o leone.
Il resto Ayoo non lo dice ma lo sa, e lo teme. Come i bambini che vivono lì sanno che cosa può accadere, che cosa potrebbero fargli i ribelli del Lra; lo sapeva anche Anywar, che ha il pallino del cinema ed era affascinato dal cellulare dello zio. Poi Ayoo racconta quanto è difficile riaccogliere i bambini-soldato che tornano a casa, ha visto molte famiglie cacciarli, ma ha visto anche che l?abbraccio di un genitore è l?unica speranza di recuperare un bambino costretto a uccidere.
Una generazione bruciata da 18 anni di follia, cresciuta così, con la guerra, spesso insieme ai guerriglieri. Che ne sarà di un popolo che distrugge i suoi figli? «Sono arrabbiata, addolorata per gli acholi, la mia gente, che non è più al sicuro nella sua terra, sta perdendo case, lavoro, campi, figli? costretta a vivere nei campi sfollati. Il mio popolo è ferito, e sono ferita anch?io». Ayoo scuote la testa. A tratti sembra disperata, ma per fortuna, dice lei, ha tante persone accanto, che sostengono la sua speranza, che è poi quella dell?Uganda. La storia di questo pezzo d?Africa ha attraversato nel bene e nel male la vita di Ayoo e della sua famiglia. Dal virus (con il suo strascico di emarginazione) che le ha portato via la sorella, contagiata e abbandonata dal marito, alle vicende legate a questa guerra assurda. Ma la sua vita si è anche intrecciata, sin dall?inizio, alla presenza dei volontari italiani, dei missionari, laici e non, medici e non, tenace punto di possibile rinascita per la sua terra, come sono stati per lei una famiglia di medici dell?Avsi. «È una situazione talmente difficile che non riesco a immaginare una soluzione. Quello che si può fare lo fanno i volontari italiani che sono rimasti lì con gli acholi. Sono loro l?unico sostegno ai bambini e alle famiglie».
Il 2 luglio Ayoo e il marito Luigi sono saliti su un aereo, destinazione Uganda, dopo tre anni e mezzo di assenza. Sarà dura, dice lei, come duro è stato leggere su Vita della strage di Pagak, a un centinaio di chilometri dal suo villaggio. Tornano in Uganda per tentare l?adozione della nipotina di 7 anni, «la più piccola, che ha ancora bisogno di una famiglia». L?adozione, spiegano, è l?unica possibilità di portarla in Italia. E poi c?è la sorte incerta di Anywar. Ayoo lo immagina nell?erba alta, in marcia da quel 18 aprile. Salvate il soldato Anywar.
Giuditta Castellanza
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