Due milioni circa di followers soltanto su TikTok, ai quali si aggiungono i 285mila su Instagram e gli 87mila fedelissimi che lo seguono su YouTube: cifre importanti per chiunque, ma decisamente impressionanti per un giovane prete che ha scelto la via dei social per evangelizzare i fedeli. Heriberto García Arias è un religioso messicano di 37 anni, della diocesi di San Juan de los Lagos (Stato di Jalisco, distante 150 km dalla capitale Guadalajara). Sta spendendo gli ultimi giorni a Roma, prima di tornare in patria. Il 28 e 29 luglio parteciperà con oltre mille persone al primo Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici.
«Sono arrivato in Italia tre anni fa, per studiare Comunicazione istituzionale alla Pontificia Università della Santa Croce», racconta in un italiano quasi perfetto. «Ho appena terminato il corso di studi e tra qualche giorno farò rientro a casa. Ma prima ho avuto modo di presentare un documentario al quale ho lavorato per due anni (ieri alla Filmoteca Vaticana, ndr). Ho raccontato la storia di una suora, attraverso un viaggio per le vie di Roma».

Con video e reel ci sa fare: sui social sta ottenendo un successo strepitoso. Quando e come è nata l’idea di fare questo tipo di comunicazione?
Nel 2021, durante la pandemia, il mio vescovo mi ha nominato direttore della comunicazione e portavoce della Cattedrale, chiedendomi di trasmettere in streaming le celebrazioni eucaristiche. Proprio in quel periodo ho percepito il desiderio di trascendentale che c’era tra la gente, la voglia di Dio anche da parte di molti giovani. Ho iniziato così, ho avvertito la necessità di comunicare e ho utilizzato uno strumento che mi ha sempre attratto.
Si rivolge prevalentemente a una platea giovanile o non solo?
Quotidianamente mi ispiro al Vangelo del giorno, da cui traggo un suggerimento per parlare alla gente. Non conosco esattamente le statistiche delle persone che mi seguono, ma l’età media è approssimativamente di 17-24 anni su TikTok, mentre su YouTube è di 35-50 anni e su Facebook di 35-45. Su Instagram la media si abbassa di nuovo. E questo è normale, ogni fascia d’età ha il suo social di riferimento. L’idea di base è la stessa ma cambio il formato e la durata a seconda della piattaforma.
Su TikTok bisogna andare spediti.
Prima facevo reel cortissimi, ma da un po’ di tempo i follower dimostrano di gradire video più lunghi. È un mondo in continua evoluzione. Molto dipende dai contenuti, è vero, ma non ci sono regole fisse.
Li realizza soltanto in lingua spagnola?
Sì. Mi piacerebbe farli anche in altre lingue, per esempio inglese e italiano, ma diventerebbe troppo impegnativo e non posso permettermelo. Mi limito ai Paesi ispanici.

Diceva che il Vangelo del giorno la ispira, ma anche la vita quotidiana propone tante riflessioni.
Il Vangelo è vita concreta, non astratta, dunque io parlo di Dio ma anche di ciò che ognuno di noi sperimenta nella propria vita. Ascolto i messaggi che ricevo privatamente e leggo i commenti sui social, cerco di prestare attenzione a tutti. C’è chi cerca la giusta motivazione per seguire la parola di Dio, chi invece cerca la forza per continuare a sperare in una vita migliore. E chi invece ha un’autostima molto bassa. Cerco nel Vangelo degli spunti che mi aiutino a dare forza a queste persone. Non cerco di diagnosticare la malattia di chi mi segue, per poi dargli una medicina: non sempre sappiamo di cosa abbiano realmente bisogno.
Il segreto del suo successo sta nella modalità del linguaggio?
Le nuove generazioni parlano e pensano in maniera differente rispetto alle generazioni precedenti, è indiscutibile. Sono nativi digitali, mentre io e le persone più grandi di me siamo migranti digitali. Parlare dal pulpito di fronte ai giovani è diventato più difficile, la loro attenzione si abbassa facilmente perché sono abituati ad altre modalità di comunicazione. Questa riflessione deve spingerci a modificare il nostro linguaggio e adattarlo a quello dei giovani. È davvero un’altra lingua.
Che cosa le chiede la gente che la segue?
Tante cose. Non si parla soltanto di fede, ma anche dei problemi che affrontano giorno dopo giorno. Le difficoltà, a volte le angosce. C’è chi è depresso, chi addirittura manifesta intenzioni suicide. Ci sono donne incinte che desiderano abortire. Queste persone cercano una motivazione forte, e per me è la sfida più grande. A volte sono persone che vivono molto lontano da dove sto io, posso soltanto sentirle a distanza e cercare di infondere loro coraggio e forza. Cerco di suggerire il ricorso a un bravo psicologo. Io posso fare poco, è evidente. C’è tanta disperazione, in giro, un malessere diffuso. Non ho una risposta che valga per tutti. Normalmente, parliamo di persone che hanno visto e vissuto tutto. E niente può riempire il loro cuore. Ma mi dà grande gioia vedere quando trovano un po’ di conforto nelle mie parole.

Le gerarchie ecclesiastiche si saranno accorte di lei…
Ho parlato del mio lavoro con monsignor Lucio Adrian Ruis, segretario del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede e capo ufficio del servizio internet del Vaticano. E poi con il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, e ovviamente con il mio vescovo, monsignor José Leopoldo González González. Mi hanno incoraggiato a proseguire.
Ci saranno anche i momenti gioiosi, nello svolgimento della sua vocazione.
Sì, non c’è soltanto la sofferenza. Per esempio, mi hanno chiamato i genitori di bambini che erano ricoverati in ospedale e sono riusciti a guarire. Hanno trovato forza non tanto nelle mie parole, ma da ciò che ci dice il Vangelo. Ho tantissime testimonianze di questo tipo: a volte arriva il video giusto al momento giusto. Qualcuno stava per togliersi la vita e ci ha ripensato all’ultimo istante. Queste notizie mi fanno felicissimo. In queste persone ci sono tanti bisogni, ma alla fine Dio ha fatto tanto in me attraverso questa missione digitale che mi dà una motivazione molto, molto grande. Lo Spirito Santo arriva in maniera misteriosa attraverso questi algoritmi e fa qualcosa su di me. Io divento un semplice strumento.
I giovanissimi chiedono soprattutto ascolto.
È vero, capita un po’ dappertutto nel mondo. Sono totalmente diversi, come dicevo prima. Richiedono attenzioni. Per loro, la realtà del contesto digitale può incidere anche nella visita fisica. Per noi è diverso. Ecco perché, parlando in generale, è difficile che nonni e nipoti si comprendano su certi argomenti. Pensano in maniera differente. È una sfida molto grande per la Chiesa. Noi religiosi dobbiamo mettere sempre il Cristo al centro di tutto, ma con la lingua di oggi per riuscire a parlare ai giovani.
Lei ha preso i voti undici anni fa. Immaginava che avrebbe fatto evangelizzazione attraverso questi mezzi di comunicazione?
No, non l’avrei mai potuto pensare nemmeno lontanamente. Anche se ho sempre avuto la passione per i cortometraggi. Poi mi piace comunicare attraverso i documentari. Sono un videomaker mancato, ma le conoscenze mi aiutano in altro modo. Come sacerdote non mi posso fermare, c’è tanta gente da aiutare.
Nei prossimi giorni, al Giubileo, si incontreranno missionari digitali e influencer cattolici.
Sono due cose ben distinte, anche se seguono lo stesso sentiero. Quasi tutto è uguale ma cambiano le finalità, l’identità, le motivazioni. Il missionario digitale vuole portare sui social la sua testimonianza di Dio e di Cristo, e vuole proporla agli altri; l’influencer cattolico può ispirarsi ai valori del Vangelo ma alla fine non sempre arriva a Cristo. Tutto questo lavoro di apostolato che si fa nella rete sociale deve aiutarci a far incontrare i giovani con Dio. Dobbiamo essere bravi a passare dallo schermo all’altare. Non devono seguire me, ma Cristo. Tanti giovani hanno bisogno di questo messaggio per riempire i loro cuori. Però non dobbiamo costruire parrocchie digitali: bisogna andare nelle piazze dove stanno i giovani e portarli nelle chiese. Tantissimi fanno lo scroll su TikTok ma la maggior parte di loro, ne sono certo, non va in chiesa. Forse perché non hanno trovato testimoni che parlino il loro linguaggio. Noi dobbiamo evitare la tentazione di diventare protagonisti, ma questo vale per tutti i preti che stanno nelle nostre chiese.
Credits: foto di Padre Heriberto García Arias
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.