Diana Scherer

La vita sotterranea delle piante è un’opera d’arte

di Daria Capitani

Diana Scherer, Bergen, 1-10-2-23
Ha iniziato fotografando le piante, poi ha capito che il vero spettacolo avviene sotto la superficie. L’artista visiva Diana Scherer coltiva tessuti come organismi viventi, per testare fino a che punto la sua arte può orientare il comportamento di una pianta. Il suo progetto Interwoven esposto alla Biennale di Architettura di Venezia mostra quanto sia sottile il confine tra coltura e cultura: «L’intelligenza non risiede soltanto nel cervello, ma anche nelle reti. Le radici insegnano modelli di decentralizzazione, resilienza e cooperazione»

Un intreccio di radici, vere, che si fanno trama per arazzi in divenire. Respirano, crescono, cambiano forma e colore di fronte al visitatore. In una parola, vivono. Varietà differenti di erba, per lo più avena, mais o grano, terra, acqua e plastica sono le materie prime che rendono possibile l’opera di Diana Scherer, artista visiva pioniera nella ricerca su materiali naturali, tessuti e sculture. Nelle sue creazioni non c’è confine tra arte e biotecnologia, cultura e coltura, botanica e neurobiologia. Nata a Lauingen in Germania, ha studiato Belle arti alla Rietveld Academy di Amsterdam. Qui vive e lavora, ma incanta tutto il mondo con le sue installazioni imponenti fatte di dettagli minuscoli, giardini sospesi che come lenti di ingrandimento svelano la vita sotterranea delle piante.

Fino al 28 settembre espone alla Triennale per la Piccola Scultura di Fellbach in Germania insieme a 50 artisti di fama internazionale. A partire dal titolo Habitat. Spazi (non)sicuri, la mostra esplora il fragile rapporto tra uomo e natura. I suoi lavori fanno parte di collezioni prestigiose in tutto il mondo: tra le altre, Victoria & Albert Museum London, Design Society Shenzhen, Foam Amsterdam, Umc Utrecht e Photography Museum Rotterdam. Si può osservare da vicino il progetto Interwoven di Scherer alla Biennale di Venezia Architettura 2025 (Arsenale, visitabile fino al 23 novembre) e presto la sua opera andrà ad arricchire l’itinerario di architettura artistica all’aperto della riserva naturale Oasi Dynamo a San Marcello Piteglio in Toscana.

La sua arte è legata in modo indissolubile alla natura. Che cosa l’ha spinta a indagare in questa direzione? Come si è evoluta nel tempo la sua ricerca?

Ho iniziato fotografando le piante, poi ho capito che il vero spettacolo avviene sotto la superficie. Le radici sono reattive, sociali e architettoniche. La curiosità mi ha spinta dall’osservazione alla collaborazione, prima realizzando semplici stampi nel terreno, poi sviluppando modelli che guidano la crescita delle radici. Nel corso del tempo il lavoro si è spostato dalla documentazione alla ricerca sui materiali: coltivare tessuti come organismi viventi, testare fino a che punto posso orientare il comportamento di una pianta.

Radici che tessono, giardini sospesi, installazioni botaniche. In tanti hanno cercato una definizione per le sue opere d’arte. Lei quali parole utilizza?

Io la chiamo tessitura delle radici e Interwoven: è una pratica all’intersezione tra arte, botanica e tessile. Si tratta di sculture o tessuti coltivati e realizzati autonomamente in collaborazione con l’intelligenza vegetale.

L’intelligenza non risiede soltanto nel cervello, ma anche nelle reti. Le radici percepiscono, comunicano e destinano risorse

Diana Scherer, artista visiva

Tra i suoi obiettivi c’è quello di creare il tessuto del futuro, un tessuto che si tesse da solo. Può l’arte offrire un contributo nella creazione di materiali sostenibili?

L’arte può prototipare in modo poetico ciò che l’industria non rischia ancora. Dimostrando innanzitutto forma, tattilità e valore culturale, l’arte osa mettendo in gioco le idee, consentendo a scienziati e produttori di tradurle in materiali di origine biologica e compositi ibridi.

Un’opera d’arte che vive, cresce, si modifica nel tempo mentre il visitatore la osserva, che cosa dice all’umanità?

La pianta cresce, vive e muore. La raccolta è la morte della pianta. Voglio ricordare ai visitatori come trattiamo la natura e come conviviamo con essa.

Nelle sue installazioni, il confine tra coltura e cultura si fa sottile. L’atto creativo ha a che fare con il coltivare?

La coltivazione è una composizione al rallentatore. Preparo il terreno, creo le condizioni e poi faccio un passo indietro. Come un giardiniere, elimino le decisioni anziché imporle. In questo caso, coltura significa prendersi cura della crescita anziché estrarla. Ma d’altro canto, significa usare e manipolare la natura. Il mio lavoro dialoga con l’ambivalenza del nostro amore per la natura.

Che cosa ci insegna l’intelligenza delle piante?

Che l’intelligenza non risiede soltanto nel cervello, ma anche nelle reti. Le radici percepiscono, comunicano e destinano risorse. Insegnano modelli di decentralizzazione, resilienza e cooperazione da cui i nostri materiali, le nostre città e persino la nostra politica potrebbero imparare.

In apertura, Diana Scherer. Le fotografie sono state fornite dall’intervistata

Vuoi accedere all'archivio di VITA?

Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.