Luca Tamburrino e Michele VIvilecchia ideatori dei Ritornati

Controesodo

Noi, i “Ritornati” al Sud: «Non ci servono bonus, ma relazioni vere»

di Luca Iacovone

A Matera, oltre 400 giovani danno vita a una community che accoglie chi torna e chi sceglie di arrivare. Molti di loro hanno carriere avviate altrove, ma a un certo punto del loro percorso hanno cominciato a cercare qualcosa che le grandi città non sanno più offrire. Due storie e sei identikit fotografici raccontano chi sono i nuovi "Ritornati" e perché, proprio ora, stanno scegliendo di rientrare nel Mezzogiorno

Quando Luca ha riportato la residenza a Matera, nell’aprile del 2022, non pensava davvero di fermarsi. Lavorava per una multinazionale del tech, viaggiava spesso per l’Europa, passava lunghi periodi tra Dublino, Milano e altre città. Matera era una parentesi, non un punto di approdo.

«All’inizio era tutto provvisorio, per due anni ho vissuto da nomade. Non credevo sarei mai più riuscito a vivere qui». Poi, nel 2024, qualcosa cambia. Luca decide di provarci sul serio: vivere stabilmente a Matera.

Michele, invece, viveva a Reggio Emilia. Lavorava nel settore moda, gestendo collezioni e modelli in giro per il Mediterraneo e il Nord Europa. Poi, a un certo punto, è successo qualcosa. «È stato fisiologico. Ho sentito il bisogno fisico di tornare a casa. Non tanto per la nostalgia: proprio per l’aria. Vivendo nella pianura padana, ho sentito che mi mancava l’aria della mia città».

Roberto Sasso fa parte della community dei Ritornati a Matera, è esperto di tecnologie digitali, ha iniziato come hacker alla fine degli anni ’90. Dopo aver diretto l’architettura tecnologica di Yoox e contribuito al successo di diverse startup, oggi è CTO di Gameye. Tra i suoi progetti più recenti c’è la creazione di uno dei primi agenti AI per il lavoro, sviluppato per una società statunitense.

Nessuno dei due aveva pianificato un ritorno. Non era parte del disegno. Eppure, entrambi si sono ritrovati, quasi nello stesso momento, a ripensare il proprio “dove”.

Quando torni, e scopri che non c’è più nessuno

Luca Tamburrino, 33 anni, e Michele Vivilecchia, 35, sono gli ideatori di una community che oggi raccoglie a Matera oltre quattrocento “Ritornati” — così si chiamano tra loro — e che sta diventando una delle esperienze più interessanti nel Mezzogiorno. Si tratta di professionisti, imprenditori, ricercatori, lavoratori da remoto che hanno deciso di tornare nella propria città o di sceglierla per la prima volta. 

«Molti tornano perché sentono il bisogno di una vita con più relazioni vere, con legami che contano», racconta Michele. «Ma poi si accorgono che non c’è più nulla della loro vita di prima. Le reti sociali si sono spezzate, gli amici sono andati via, chi è rimasto ha costruito vite con cui non riesci più a connetterti».

Stella Moliterni, della community dei Ritornati, dopo aver studiato e lavorato tra Europa e Africa, è tornata a Matera per il forte legame che sente con la sua città. Sta completando un dottorato in politiche agricole e lavora come libera professionista nel campo della progettazione europea, con una visione aperta su un Mediterraneo cooperativo e interconnesso.

È un passaggio delicato, che spesso non si vede. «È in quel momento — spiega Luca — che tanti decidono davvero di andarsene, non prima. Non quando erano lontani, ma quando tornano. Quando scoprono che non li sta aspettando nessuno, che non c’è una rete pronta a integrarli. È lì che il ritorno si trasforma in frustrazione. E allora si riparte».

È in quel momento che tanti decidono davvero di andarsene, non prima. Quando tornano, ma scoprono che non c’è una rete pronta a integrarli. È lì che il ritorno si trasforma in frustrazione. E allora si riparte

Luca Tamburrino, co-ideatore dei Ritornati

Non è la mancanza di lavoro. Né l’assenza di eventi, servizi o trasporti. È il silenzio intorno, la sensazione di essere tornati in un luogo che non ti riconosce più. Un paradosso crudele: tornare per sentirsi stranieri. «Perché tornare non basta» dice ancora Michele. «Quasi tutti prima o poi sentono quel richiamo, arriva all’improvviso, e non accetta sconti. Ma la differenza non la fa il desiderio di tornare, la fa quello che trovi quando arrivi. Se non c’è nessuno ad accoglierti, a farti sentire parte di qualcosa, torni, ma poi te ne vai di nuovo».

La nascita della community

Una sera d’estate, su una terrazza materana, Luca e Michele si incontrano per la prima volta. Iniziano a parlare delle loro esperienze di ritorno, delle difficoltà, del senso di spaesamento. Poi, quasi per scherzo, arriva una domanda: «E se non fossimo gli unici?»

Pochi giorni dopo nasce un gruppo WhatsApp. Nessun manifesto, nessun piano: solo il desiderio di capire se c’erano altre persone con lo stesso vissuto.

Silvano Cerza, della community dei Ritornati, è umbro, originario di Magione, si è trasferito a Matera dopo aver vissuto a Torino. È un software engineer e lavora da remoto. La scelta di vivere a Matera è nata da una relazione personale, ma si è presto trasformata in impegno: oggi sta dando vita a una community chiamata Matera Tech, con eventi dedicati a chi lavora nel digitale.

La risposta arriva subito: in poche settimane, le adesioni si moltiplicano. Prima una decina, poi cinquanta, poi cento, quattrocento. Non un’associazione, né un progetto con un finanziamento o una sede. È una community informale, auto-organizzata, che si tiene insieme grazie a una dinamica semplice: proporre, aggregare, riconoscersi.

Ogni settimana qualcuno lancia un’idea: una camminata, un torneo di beach volley, un aperitivo, un cinema in lingua, una gita fuori porta. Chi vuole si unisce. Il mercoledì il trekking è diventato un appuntamento fisso. Il giovedì l’incontro settimanale è il momento in cui molti si presentano per la prima volta.

«Funziona perché nessuno pretende niente» dice Michele. «Ognuno mette quello che vuole. Ma piano piano le relazioni si saldano. E non resti più solo».

La parola ritornati non descrive solo chi rientra dopo anni altrove. Nel gruppo ci sono anche tanti arrivati, persone senza legami familiari con la città, che hanno scelto Matera come luogo in cui vivere. Alcuni vengono da altre regioni, altri dall’estero. Tutti, però, cercano la stessa cosa: non solo un posto dove stare, ma qualcuno con cui condividerlo.

Quel bisogno di tornare che arriva sempre prima

«Io ci ho messo trent’anni a capire che avevo bisogno di tornare nella mia città» racconta Luca. «Adesso vedo ragazzi di venticinque anni che questo bisogno lo sentono già. Che si avvicinano ai Ritornati con una consapevolezza che io ho maturato molto più tardi».

Federica Bongermino, dopo quattro anni a Roma, è tornata a vivere a Matera, sua città natale. Lavora nel campo dello sviluppo software, prevalentemente da remoto. Il rientro è coinciso con l’apertura di una sede della sua azienda a Bari, che le ha permesso di riavvicinarsi.

Per anni tornare è sembrata una scelta da sconfitti. Un’opzione estrema, quando le altre strade si erano chiuse. Oggi non è più così. Sempre più spesso, a chiedere di entrare nella community sono giovani che hanno appena finito l’università, o che stanno facendo le prime esperienze fuori. E già si interrogano: cosa sto cercando davvero?

Una parte della risposta, forse, sta nella crisi lenta e silenziosa delle grandi città. Le promesse del modello urbano – relazioni, stimoli, opportunità – iniziano a mostrare il fianco. Il costo della vita è diventato insostenibile, il tempo libero è un miraggio, e la solitudine si infiltra anche nelle piazze più affollate.

Così l’idea di “successo” comincia a cambiare. Non è più legata soltanto alla mobilità, alla carriera, al rumore. Sempre più giovani cercano una qualità della vita diversa: la possibilità di sentirsi parte, di avere tempo per sé, di non dover sempre correre.

Chi si affaccia alla community dei Ritornati spesso non è mosso dalla nostalgia, ma da una ricerca di senso. Non vuole riprendersi il passato, ma costruire qualcosa di nuovo.

Chi torna non cerca lavoro

Una delle cose più sorprendenti — e forse più ignorate — è che molte delle persone che tornano o arrivano a Matera hanno già un lavoro stabile. Alcuni lavorano da remoto per aziende con sedi a Londra, Berlino, Milano o New York. Altri hanno ruoli di responsabilità, fanno ricerca, progettano, dirigono.

Enrico Lamacchia, architetto, nato e cresciuto a Matera, ha studiato a Firenze con l’obiettivo di tornare un giorno nella sua città. Si occupa di restauro e beni culturali e sta portando avanti un dottorato di ricerca all’Università della Basilicata.

«Nessuno è tornato sperando in un’offerta di lavoro da parte di un’impresa locale» dice Luca. «Chi torna ha già fatto un pezzo di strada, ha un’identità professionale, una sua autonomia. Non chiede lavoro: chiede contesto, chiede relazioni, chiede di non sentirsi isolato».

«Almeno il 35% di chi torna ha già avviato un’attività. E quasi la metà sta valutando di crearne una. Sono persone competenti, spesso con titoli universitari o internazionali, che portano valore. Ma se non c’è un tessuto che le integra, restano invisibili» sostiene Luca.

«Se torni con un lavoro e non trovi una comunità che ti accolga» aggiunge Michele, «finisci per sentirti inutile. Non perché mancano le cose da fare, ma perché manca il resto: lo scambio, la possibilità di far parte di qualcosa, di mettere a frutto quello che hai imparato fuori».

Una visione che può valere ovunque

«Quello che sta succedendo qui non è un caso isolato» racconta Luca. «Ci sono realtà come i Monaci Digitali nel Cilento, Tribe e Tornanza in Puglia, la Fondazione Marea in Sicilia, Sardiamo in Sardegna. Così anche a Cagliari, con
South Working – Cagliari Chapter, e a Tursi con i Nomadi digitali. Stanno spuntando ovunque iniziative per attrarre persone che vogliono cambiare vita. Tutti questi progetti partono dallo stesso bisogno: sentirsi parte, trovare qualcuno che ti accolga».

Enrico Di Martino, originario di Niscemi, in Sicilia, è arrivato a Matera nel febbraio 2024. Dopo quattro anni da avvocato, ha intrapreso la carriera di funzionario. La scelta della Basilicata è nata da motivi personali, ma vivere nella città dei Sassi si è rivelata una decisione naturale.

Non si tratta di grandi piani strategici o finanziamenti milionari. In molti casi, si parte da un gruppo WhatsApp, una birra al bar, un invito al trekking. «Molti ci scrivono perché stanno valutando di rientrare» racconta Michele. «Magari non conoscono più nessuno in città, hanno paura di ritrovarsi soli. Poi scoprono che esistiamo, vedono che ogni giovedì ci si incontra, che c’è un gruppo aperto. E quello fa la differenza. Non li convincerebbe nessun bando, nessun incentivo. Ma sapere che non si è soli, sì».

Negli ultimi mesi, Luca e Michele hanno iniziato a immaginare se tutto questo potesse diventare qualcosa di più strutturato. Non tanto un’organizzazione, ma uno strumento leggero, replicabile, che aiuti altri territori a fare lo stesso: creare comunità, accogliere nuovi abitanti, connettere chi arriva con chi è già lì.

Molti ci scrivono perché stanno valutando di rientrare, scoprono che esistiamo, vedono che ogni giovedì ci si incontra, che c’è un gruppo aperto. Non li convincerebbe nessun bando, nessun incentivo. Ma sapere che non si è soli, sì

Michele Vivilecchia, co-ideatore dei Ritornati

«Abbiamo capito che il bisogno non è solo nostro» dice ancora Luca. «Succede ovunque. E spesso manca il primo gancio, quel “c’è qualcuno che ti aspetta”. Stiamo cercando di capire come si può rendere quello che abbiamo imparato a Matera, replicabile, accessibile ad altri comuni».

Nella foto in copertina Luca Tamburrino e Michele Vivilecchia, ideatori della community dei Ritornati

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