Paola Barbato, scrittrice e fumettista, è neurodivergente: ha pubblicato un post sui social per condividere le sue tre diagnosi. «Ho un disturbo dello spettro autistico di tipo 1», ha scritto. «Oggi non si dice più Asperger, ma di fatto si parla della stessa cosa. Serve che lo dica? Non lo so, a me è stato utile saperlo. C’è moltissima confusione, ancora, sull’autismo, perché in una sola parola è rinchiuso un boato di roba, tutta diversa, in certi casi invalidante, difficile da gestire e affrontare, in altri casi invece che passa sotto silenzio, tipo me». Le altre due diagnosi sono disturbo da deficit di attenzione/iperattività – più conosciuto come Adhd – e alto potenziale cognitivo. L’autrice ha voluto parlare della sua “cartella clinica” per essere d’aiuto agli altri – come aveva già fatto raccontando delle sue mammografie – e per sensibilizzare sull’argomento. «Alla fine, ecco, più che un annuncio è una dimostrazione di qualcosa che esiste», continua nel post, «che è abbastanza diffuso, che secondo me è bene sapere, se si può, e che non cambierà la mia vita in niente, almeno non fuori. Dentro, invece, è già in atto una piccola rivoluzione».
Lei ha ritenuto che parlare delle sue diagnosi fosse importante. Come mai?
Sappiamo che la malattia mentale – anche se in questo caso è un termine improprio – è ancora circondata da uno stigma. Non se ne parla. C’è gente che non sa che l’autismo è uno spettro e appena ne sente parlare pensa a Rain man. Se ne parla molto poco e solo tra addetti ai lavori. Un sacco di gente ha dei disturbi – e, di nuovo, è un termine improprio e non corretto, ma è quello che si trova come definizione – hanno delle particolarità che rendono la quotidianità difficoltosa. Cercano di adattarsi a una norma, non ci riescono e fanno fatica. Se sapessero che, molto semplicemente, loro devono trovare un’altra strada, il loro carico cambierebbe immediatamente. Dopo aver scritto questo post – e tra l’altro sono l’ultima di una lunga serie di personaggi pubblici a fare questa dichiarazione – ho ricevuto una fiumana di messaggi di persone che mi hanno scritto, in privato o pubblicamente. C’è un grande bisogno di conoscenza: l’autismo è uno spettro, ci sono forme meno evidenti che però appartengono a tantissime persone. Se queste persone sapessero che funzionano in un certo modo, in molte occasioni non si colpevolizzerebbero.
Per esempio quali?
Io faccio fatica a ricordarmi i Pin delle carte, per esempio. Non ci riesco, per me è difficilissimo; per anni mi sono detta che sono distratta, che non ho memoria. Tanti di noi vivono un senso di colpa, si sentono stupidi. Invece è un problema legato al disturbo di attenzione.
Le persone che le stanno intorno – al lavoro, o in famiglia – hanno cambiato atteggiamento da quando hanno saputo della sua diagnosi?
Devo dire che vivo in una sorta di “cerchio magico”. Quando fai lo scrittore o il fumettista – o comunque sei una persona che fa dell’arte il suo mestiere – il tuo essere bizzarro ti viene immediatamente perdonato. Le mie caratteristiche “non allineate” sono state addirittura considerate come qualcosa di simpatico. Ho avuto questa fortuna, non mi si è mai presentato il problema di essere “diversa”. Quando ho iniziato il percorso ho avvisato tutti; tra l’altro non è stato veloce, è durato sei mesi. Non c’è stata una vera rivelazione nella mia sfera privata. Tra l’altro le mie piccole manie le conoscono tutti.
Il percorso è durato mesi, non c’è stato un vero momento di “rivelazione” nella mia sfera privata. Tra l’altro le mie piccole manie le conoscono tutti.
Ce ne dice una?
All’ingresso abbiamo un bellissimo appendichiavi con su scritto Alohomora. Le chiavi devono essere appese tutte in un certo ordine; appena entro, quasi senza pensarci, le riordino correttamente. Questo mi tranquillizza. Sono piccole necessità, cose da nulla che però mi disturbano e se si accumulano diventano motivo di nervosismo.
Per chi fa un lavoro meno artistico però, ci sono delle caratteristiche che potrebbero risultare problematiche.
Siamo ancora come quando, nel passato, una persona mancina veniva costretta a scrivere con la destra, perché altrimenti era considerato “satanico”. Se dici “autismo”, la gente non sa cosa pensare e all’inizio si spaventa. Crede che tu sia incapace di fare le cose, invece hai solo un tuo modo per farle. Va spiegato; questo riguarda sia l’autismo di tipo uno (quella che un tempo era definita sindrome di Asperger, ndr), sia l’adhd. La diagnosi non cambia le persone, ma offre una spiegazione e assieme a essa arrivano delle possibili soluzioni, o comunque una richiesta di maggiore tolleranza.
Se dici “autismo”, la gente non sa cosa pensare e all’inizio si spaventa. Crede che tu sia incapace di fare le cose, invece hai solo un tuo modo per farle.
Nel suo post, mette però in luce, come aspetto negativo, la possibilità che fare un percorso di diagnosi possa costare.
Esistono dei circoli virtuosi, soprattutto nei casi in cui il percorso viene affrontato partendo da una base ospedaliera: è tutto più semplice e rapido. In questi casi, però, stiamo parlando di situazioni di difficoltà maggiore, che non co si auspica. Ci sono anche dei medici di base che sanno incanalare i pazienti verso un percorso all’interno del Servizio sanitario nazionale, conoscono le richieste da fare e lo specialista da cui andare. In altre situazioni – come nella mia – ci si rivolge al privato. In particolare, io sono andata in un centro che era abbastanza lontano da dove abito, a circa un’ora e mezza di macchina, per un bel po’ di mesi una volta alla settimana. Mi sono dovuta prendere il tempo che ci voleva; ho dovuto pagare la benzina e il costo degli incontri, che per quanto non siano cifre mostruose, non sono alla portata di tutti.
Lei mette anche in luce il fatto che l’autismo femminile può essere diverso da quello maschile e che spesso però i test sono tarati sugli uomini.
Il centro a cui mi sono rivolta è particolarmente focalizzato sull’autismo femminile e ci stanno lavorando. Tra uomini e donne ci sono elementi di diversità importanti rispetto al modo di reagire, ragionare, affrontare le cose. Ci sono delle caratteristiche che si rilevano solo nella parte femminile e più si verifica la loro esistenza, prima si riuscirà a delineare una tipicità femminile di riferimento, anche se, ovviamente, c’è sempre l’eccezione: ciascun essere umano ha la sua unicità.
Lei ha rivelato anche di avere un alto potenziale cognitivo. Forse tra le diagnosi è quella che si conosce e comprende meno, pensando che si parli semplicemente di un “genio”.
Posso riassumere questa mia caratteristica così. Quando mi venivano poste delle domande dirette, in cui le risposte previste erano “vero” o “falso”, io dicevo “dipende”. Avere una plusdotazione cognitiva significa avere un’articolazione maggiore del pensiero, non significa essere più intelligente degli altri. Non necessariamente è funzionale o utile, non siamo tutti detective che devono andare sulla scena del crimine e cogliere ogni sfumatura. A volte ricevere e incanalare tante informazioni è soltanto un grande dispendio di energie.
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