Mondo
Telou, incinta verso l’Italia
La donna del Togo viveva con il marito in Libia. I miliziani di Gheddafi li hanno costretti a partire
di Redazione

Gli sbarchi a Lampedusa non si sono fermati, mentre continuano i salvataggi in mare a opera delle motovedette. Nell’ultimo weekend sono sbarcati in tanti, sabato l’ondata più grossa che ha portato le presenze di extracomunitari sull’isola a quota 1.800. Sono molti però i migranti e i profughi per i quali la traversata del Mediterraneo diventa l’ultimo viaggio. Tra le tante storie in cui il lieto fine è il toccare terra, ve ne sono molte, troppe che rimangono senza trama perché chi potrebbe raccontarlo non è più in grado di farlo. Tra queste c’è la storia di Selim, raccolta da AdnKronos, un profugo del Togo che era partito alla volta dell’Italia con la moglie incinta. Ed è proprio lei a poter raccontare il viaggio. Lui, purtroppo, non ce l’ha fatta.
«C’era buio pesto e non si vedeva nulla. La motovedetta si avvicinava sempre di più e io ho pensato che Selim fosse stato tratto in salvo e che ci saremmo rivisti a Lampedusa», racconta ancora Telou. Ma così non è stato.
Quando gli oltre quattrocento profughi sono stati trasbordati su diverse motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza, Selim non c’era. È annegato nel mare nero lasciando Telou nella disperazione.
Appena scesa dalla motovedetta, al suo arrivo a Lampedusa, Telou piange e chiede a tutti notizie del marito. «Forse è stato portato a bordo di una delle motovedette – pensa – e ci vedremo tra un pò».
Purtroppo al Centro d’accoglienza la terribile notizia. Mentre il mediatore culturale ascolta il dramma del marito caduto in acqua, chiede ai poliziotti di cercare un uomo di nome Selim del Togo. Solo dopo ore verrà a galla la verità. Telou incontra al centro d’accoglienza di Contrada Imbriacola il cognato, fratello del marito, anche lui sul barcone, e le chiede notizie di Selim. Ma lui l’abbraccia forte e le dice che è morto.
«Una scena terribile – racconta chi l’ha vista da vicino – la donna si è accasciata a terra e ha inizaito a tremare chiamando a voce alta il marito». «Come farò adesso con il mio bambino ancora in grembo – gridava al mediatore – come faremo adesso? Tutte le nostre speranze si sono dissolte».
Telou ha così raccontato la sua vicenda. «Noi stavamo abbastanza bene in Libia – spiega – avevo un negozio di parrucchiere e anche mio marito lavorava. Certo, i soldi mancavano sempre ma non avremmo mai voluto lasciare la Libia. Stavamo bene lì». Ma dopo l’inizio della guerra tutto è cambiato.
Telou e Selim venivano minacciati tutti i giorni dai miliziani di Gheddafi. «E non solo noi – racconta ancora la donna – era diventato impossibile continuare a vivere lì. Venivano gli uomini armati e ci dicevano che dovevamo andarcene al più presto dalla Libia». Insomma, dal racconto della parrucchiera del Togo emerge che era il colonnello Gheddafi a spingere la popolazione dei paesi subsahariani a lasciare la Libia.
«Siamo stati così costretti a cercare i mercanti che organizzavano i viaggi verso Lampedusa – dice ancora Telou – abbiamo pagato quasi mille dollari in due e la scorsa settimana siamo partiti. Eravamo centinaia sulla barca e fin dall’inizio abbiamo avuto delle avarie al motore. C’era gente che piangeva, bambini che vomitavano ovunque. Io e mio marito eravamo vicini. Io avevo la nausea, perchè sono incinta di due mesi e perchè soffrivo il mal di mare, ma l’importante era restare vicino a mio marito».
Poi la vista delle luci delle motovedette italiane. «Siamo salvi, siamo salvi», hanno iniziato a gridare i profughi. Ma poco prima dell’arrivo delle motovedette alcuni dei migranti sarebbero caduti in acqua. E tra loro c’era anche Selim. Che resterà per sempre in fondo al mare.
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