Dopo 9 giorni di smentite, il governo cinese ammette che nella provincia settentrionale del Gansu, popolata da tibetani, si sono verificati degli scontri fra la polizia ed un gruppo che manifestava per sostenere le proteste di Lhasa. Tuttavia, nonostante le foto del massacro siano giunte in Occidente, Pechino continua a negare che si siano verificati disordini nelle province del Sichuan e del Qinghai, tutte confinanti con il Tibet. A riferirlo e’ Asianews, citando Zhang Yusheng, portavoce del governo cinese che ha detto: ”Nei giorni scorsi, vi sono stati scontri nelle contee di Xiahe, Luchu e Machu. Pochi fuorilegge hanno distrutto con violenza negozi, scuole ed altri edifici statali. La polizia ha usato la massima severita’ per fermarli”.
Zhang non fornisce pero’ alcun dato sugli arresti o sulle violenze compiute, e nega che vi siano state delle vittime. Nel frattempo, la repressione a Lhasa continua ad accrescersi: le autorita’ cinesi hanno arrestato ieri 24 persone che hanno partecipato nei giorni scorsi alle manifestazioni di protesta organizzate nella capitale. Secondo l’agenzia di stampa del regime cinese – altre 170 persone si sono consegnate ”in maniera spontanea” alle forze di polizia.
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