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Torture nelle carceri: la protesta delle Ong

Amnesty International e MSF denunciano la situazione dei diritti umani nel paese

di Redazione

Amnesty International ha denunciato oggi che negli ultimi mesi, fino alle recenti settimane, numerosi detenuti sono morti nelle carceri libiche dopo aver subito torture e che il ricorso alla tortura nei confronti di presunti combattenti e lealisti pro-Gheddafi è altamente diffuso.

 I delegati attualmente presenti in Libia hanno incontrato detenuti nelle carceri della capitale Tripoli e dei suoi dintorni, di Misurata e Gheryan, che recavano visibili segni delle torture: ferite ancora aperte sulla testa, sulle braccia, sulla schiena e su altre parti del corpo.

Le torture sono inflitte da appartenenti alle forze di sicurezza e militari ufficialmente riconosciute, così come dalle moltitudini di milizie armate che operano al di fuori di qualsiasi contesto legale.

“Dopo tutte le promesse di porre i centri di detenzione sotto controllo, è terribile constatare che non c’è stato alcun passo avanti per porre fine all’uso della tortura” – ha dichiarato Donatella Rovera di Amnesty International. “Non siamo a conoscenza di alcuna indagine adeguata sui casi di tortura né di alcuna procedura per cui le vittime della tortura o i parenti di chi è morto sotto tortura abbiano potuto chiedere giustizia e risarcimento. Alcuni detenuti ci hanno raccontato le torture, altri si sono rifiutati, limitandosi a mostrarci le ferite, nel timore di poter subire un trattamento peggiore”.

I detenuti, sia libici che stranieri provenienti dai paesi dell’Africa subsahariana, hanno riferito ad Amnesty International di essere stati appesi in posizioni contorte, picchiati per ore con fruste, cavi, tubi di plastica, catene, sbarre di metallo e bastoni di legno e di aver subito scariche elettriche sia con gli elettrodi che con congegni simili alle pistole taser.

 A Misurata, le torture proseguono nel centro adibito agli interrogatori della Sicurezza militare nazionale e nel quartier generale delle milizie armate.

 

Numerosi detenuti sono morti mentre erano in custodia delle milizie armate a Tripoli, nei dintorni della capitale e a Misurata, in circostanze che fanno pensare alla tortura.

 Il più recente caso di morte in carcere a seguito di tortura di cui Amnesty International è a conoscenza è quello di Ezzeddine al-Ghool, un colonnello di 43 anni padre di sette figli, arrestato dalle milizie armate a Gheryan, 100 chilometri a sud di Tripoli, il 14 gennaio. Il suo corpo è stato riconsegnato ai parenti il giorno dopo, pieno di ematomi e ferite. I medici hanno confermato che è morto di tortura. Diversi altri detenuti sono stati torturati nello stesso periodo e otto di loro sono stati ricoverati in ospedale per le gravi ferite riportate.

Amnesty International sta investigando su altre denunce analoghe che ha ricevuto di recente.

 Medici Senza Frontiere (Msf) annuncia, dal canto suo, di “aver sospeso le sue attività nei centri di detenzione di Misurata perchè ai detenuti vengono inflitte torture e negato l’accesso a cure mediche di urgenza”. Secondo quanto si legge in un comunicato le equipe mediche che lavorano nei centri di detenzione di Misurata dallo scorso agosto, curando i detenuti con ferite da guerra, da allora “si sono confrontati con un numero crescente di pazienti con ferite causate da torture subite durante gli interrogatori, svolti al di fuori dei centri di detenzione”. In totale, puntualizza MSF, sono state curate 115 persone con ferite da tortura e l’associazione ha riferito tutti i casi alle autorità di Misurata. Da gennaio, molti dei pazienti riportati nei centri per gli interrogatori sono stati nuovamente torturati. “Alcuni funzionari hanno tentato di strumentalizzare e ostacolare le attività mediche di MSF – denuncia il direttore generale di MSF Christopher Stokes – Ci hanno consegnato pazienti provenienti da interrogatori affinchè li stabilizzassimo per poterli nuovamente interrogare. Ciò è inaccettabile. Il nostro compito è quello di fornire cure mediche per feriti in guerra e detenuti malati, non di curare ripetutamente gli stessi pazienti per poter essere nuovamente torturati”. 

All’associazione umanitaria, vincitrice del Premio Nobel della Pace nel 1999, è stato anche chiesto di curare direttamente i pazienti nei centri per gli interrogatori “cosa che l’organizzazione si è categoricamente rifiutata di fare”. Il caso “più preoccupante”, avvenuto il 3 gennaio scorso, quando i medici di Msf hanno curato 14 detenuti di ritorno da un centro per gli interrogatori, 9 dei quali, “nonostante le reiterate richieste di porre fine alle torture”, presentavano evidenti segni di torture. I medici hanno subito informato l’agenzia responsabile degli interrogatori del fatto che diversi pazienti necessitavano del ricovero ospedaliero, ma invece tutti i detenuti tranne uno sono stati nuovamente privati di assistenza medica e nuovamente interrogati e torturati fuori dai centri di detenzione. Pochi giorni dopo, il 9 gennaio, Msf ha inviato una lettera ufficiale al Consiglio Militare di Misurata, al Comitato di Sicurezza di Misurata, al National Army Security Service e al Consiglio Civile Locale di Misurata chiedendo ancora una volta di porre fine immediatamente a ogni forma di violenza contro i detenuti. “Nessuna azione concreta è stata intrapresa – ha affermato Stokes- Al contrario, la nostra èquipe ha ricevuto quattro nuovi casi di tortura. Abbiamo perciò preso la decisione di sospendere le attività mediche nei centri di detenzione”.

Attiva in Libia dallo scorso febbraio, e presente a Misurata dall’aprile, nel pieno del conflitto, Msf assicura che proseguirà le proprie attività di assistenza psicologica nelle scuole e negli ospedali di Misurata, così come l’assistenza a 3.000 migranti africani, rifugiati e sfollati dentro e fuori Tripoli.

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