Mondo
Trappola Bagdad: Croce Rossa vai a casa
"Non ci sono le condizioni di sicurezza per operare", dice Anna Prouse.
di Redazione

Scelli dovrebbe riportare a casa i volontari della Croce rossa italiana. L?Iraq oggi è un Paese troppo pericoloso. Restando lì mette in pericolo la vita di tante persone «spinte dal sacro fuoco che infiamma i volontari», ma che spesso «hanno un?idea del tutto fasulla di quello che gli aspetta». Questo, in pillole, il messaggio che Anna Prouse recapita al commissario straordinario, «ma non credo che Scelli lascerà il Paese prima di fine anno, anche se ormai il personale della Cri non conta più di 15 addetti, e mano a mano il contingente si ridurrà all?osso».
Parole pesanti, soprattutto perché pronunciate dalla Prouse poche ore dopo la sua nomina a consulente del ministero della Sanità iracheno, sola italiana a entrare nel governo di Allawi insieme a Danilo Roseano, consulente del ministero delle Finanze. A lei invece spetterà la gestione delle donazioni occidentali.
La Prouse, giornalista, milanese, 34 anni, conosce bene l?Iraq e i suoi segreti. A Bagdad è arrivata oltre un anno fa (12 mesi raccontati in Un?italiana in Iraq-Mesi di guerra e ricostruzione, edito dal Touring club italiano, 14 euro). L?incontro avviene nella redazione di Vita, appena dopo la firma del contratto con la Farnesina («formalmente dipendo dal ministero degli Esteri») e appena prima del suo ritorno nel Paese dei datteri (malgrado lo stato di emergenza). Nella capitale alloggerà barricata all?interno della Green zone, protetta da un impenetrabile cordone di soldati americani in assetto di guerra, «almeno lì dentro non entrano i plotoni d?esecuzione, lanciano razzi e missili, ma l?area è talmente vasta che bisogna essere ben sfortunati per prenderselo in testa». Ma visto che le precauzioni non sono mai troppe, «ho anche imparato a sparare».
Da oggi in poi i suoi referenti diretti sono il ministro Ala?din Alwan e il corrispondente inviato del Dipartimento di Stato americano (ce ne è uno per ogni dicastero). «Non lo nascondo, a me piace mettere le mani in pasta», dice la Prouse, ma l?ammissione non è sufficiente. Per capire come questa ex volontaria della Cri («per 10 anni») sia finita in uno snodo così decisivo, bisogna tornare proprio all?8 giugno 2003 quando, con in tasca il patentino di delegato internazionale della Croce Rossa internazionale, atterra a Bagdad in missione per conto di Scelli («mi ha telefonato personalmente») con il mandato di ricucire i rapporti fra Cri e Ginevra. È lei, quindi, a decidere di sgomberare la tendopoli e a trasferire la Cri nella Medical city, rinunciando così all?ingombrante protezione dei carabinieri. Tre mesi da volontaria ?speciale? vissuti pericolosamente, che le consentono di approfondire la conoscenza di Jim Haveman, il responsabile della Sanità del governo provvisorio di Bremer. «Sono stata vittima di due attentati, uno addirittura all?interno della Medical city, mi ha sparato quella che avrebbe dovuto essere la mia guardia del corpo. Io ne sono uscita illesa, il mio autista è morto».
Passata alle dipendenze di Haveman, prepara il passaggio di poteri agli iracheni, «avvenuto, al ministero della Sanità, di fatto ben 3 mesi prima della data formale del 28 giugno». Nel frattempo un razzo devasta la stanza dell?hotel Rashid dove alloggia (ma quel giorno lei era in Kurdistan), mentre si occupa della riorganizzazione del sistema sanitario. «La corruzione in Iraq è incredibile», spiega. La fine della sua amica Saba né è l?effetto. «Lavorava con noi, è stata freddata da un sicario inviato dalle case farmaceutiche giordane e siriane che stiamo cercando di cacciare dall?Iraq». Passato il testimone agli iracheni, la Prouse rientra a Milano, scrive il libro e si prepara alla nuova avventura. Dovrà gestire risorse e materiali medico-sanitari donati dagli occidentali in una condizione di estrema insicurezza. «Questo Paese sta rinascendo, ma è più pericoloso di qualche mese fa», testimonia la Prouse, «io stessa ho messo in conto il peggio».
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