Mondo

Tunisia: vittoria per le donne, ma piano con gli entusiasmi

L’esperta di mondo arabo Laura Silvia Battaglia sottolinea come la nuova Costituzione sia un grande risultato, ma bisogna vedere se ad essa seguiranno buone leggi

di Redazione

L’approvazione con larga maggioranza della nuova Costituzione tunisina ha creato entusiasmo tra i media occidentali. Comprensibile: effettivamente per la prima volta assistiamo a un’apertura in termini espliciti riguardo ai diritti civili (ad esempio il divieto di tortura fisica e morale), alla libertà di coscienza (per quanto l’Islam continui a essere religione di Stato) e alla questione femminileQuest’ultimo punto, in particolare, ha ingolosito i commentatori. Non c’è dubbio che la Costituzione rivendichi, con chiarezza adamantina, la parità di genere e la difesa delle donne vittime di violenza.
Detto questo, è chiaramente necessario approfondire l’argomento, sforzandosi di andare oltre gli schematismi giornalistici. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon sostiene, e a ragione, che il risultato ottenuto dal parlamento tunisino è «un possibile modello per altri popoli che aspirano a riforme». Tutto vero. Ma è tutto rose e fiori? La gente comune approva questo passaggio epocale in senso progressista? E più in generale, che Paese è la Tunisia? Sono domande che abbiamo rivolto a Laura Silvia Battaglia, giornalista che conosce a fondo –anche perché ha la serietà di visitare in prima persona i luoghi di cui parla negli articoli- il mondo arabo. Ha un’agenda ricca di collaborazioni, per ragioni di sintesi segnaliamo solo quelle più importanti:  corrispondenza da Sanaa per l'agenzia video-giornalistica americano-libanese Transterra media, e per gli americani The Fair Observer e Guernica magazine; per i media italiani, quotidiani di carta stampata (Avvenire, La Stampa), network radiofonici (Radio Tre Mondo) e televisivi  (Rai News 24). Ha un sito, Battgirl, in cui racconta col suo stile le guerre nel mondo. 
 
La Costituzione tunisina è stata accolta con grande entusiasmo dai media. È giustificato?
«Senza dubbio stiamo parlando di un grande passo in avanti nel Paese, ma non capisco però perché i commentatori siano così sorpresi da quanto è accaduto: chi conosce il mondo arabo sa quanto la Tunisia sia ad esempio diversa dall’Egitto; sa che la “Rivoluzione dei gelsomini” è stata supportata da persone della classe media che sono andate a scuola, molte di loro anche all’università. Ho partecipato al Social Forum Internazionale nel marzo 2013, e  in quell’occasione ho verificato che c’era una voglia di cambiamento reale, tutti esprimevano pubblicamente il proprio punto di vista senza che la cosa desse scandalo. I ragazzi con cui ho parlato guardavano con fiducia al futuro, erano contenti di come procedeva la Rivoluzione. In quell’occasione ho fatto anche una lunga intervista a Imen Ben Mohamed, deputata del partito Ennhada,  che ha partecipato ai lavori della Costituente: lei era assolutamente convinta che la comunità islamica moderata in Tunisia fosse preponderante, e per niente intenzionata a darla vinta all’Islam politico. E che i sindacati, le femministe, i comunisti siano presenze così forti dentro il Paese che non potranno mai mettersi da parte».
 
Riguardo allo specifico punto della questione femminile questa Costituzione cosa rappresenta?
«La premessa –fondamentale, da non sottovalutare assolutamente- è che la Tunisia continua ad essere un Paese in cui la tradizione è importante. In misura decisamente molto minore rispetto ad altri paesi arabi, ma senza dubbio anche qui la parità di genere non è un concetto interamente radicato tra la gente. Detto questo, la Costituzione è un ottimo passo avanti in senso formale, ma la sostanza poi viene data dalle leggi. Bisogna vedere se in futuro ci sarà un serio lavoro legislativo a tutela dei diritti delle donne, che permetta loro di difendersi dalle violenze. C’è poi un discorso da fare riguardo alle Femen: in Occidente le abbiamo dipinte come i baluardi della libertà ma io ho potuto constatare che le ragazze tunisine –anche quelle più emancipate- non guardano con simpatia a queste esibizioni esteriori così smaccate».
 
La Costituzione è stata approvata da una larga maggioranza variegata. Sembra che le grandi coalizioni funzionino a quelle latitudini…
«Devi tener conto che la Tunisia è appena all’inizio di un cammino storico di rinnovamento, quindi è naturale che ci sia una forte volontà propositiva anche in Parlamento. È successo anche a noi in Italia nel Dopoguerra. I tunisini oggi son caricati a mille perché  non hanno una ricchezza diffusa e nemmeno l’illusione della ricchezza. Tutto il contrario di noi italiani, che invece ci culliamo sugli allori di un benessere che, peraltro, è ogni giorno meno presente». 
 
La Tunisia è una democrazia matura?
«Il fatto che un Paese abbia raggiunto la forma democratica da molti anni non implica che la democrazia sia in sé matura (pensa all’Italia, ad esempio…). Per quanto riguarda la Tunisia, parleremo di democrazia a tutti gli effetti  se ciò che è stato scritto nella Costituzione verrà realmente messo in pratica a suo tempo». 
 
E il popolo tunisino è maturo?
«C’è una notevole partecipazione democratica in Tunisia, sanno ascoltare un parere diverso dal proprio. Lo stesso, purtroppo, non accade in Egitto. Io stessa, per aver raccontato quello che ho visto,  ricevo delle velate minacce da parte dei sostenitori di al-Sisi. Ma perché in Tunisia puoi esprimere le tue opinioni senza ritorsioni e in Egitto no? Semplicemente  perché è un popolo che ha studiato, che ha avuto l’opportunità di conoscere più opinioni e farsi poi un’idea autonoma. Quando la gente che ha studiato scende in piazza certamente si arrabbia, dà voce alla propria protesta, ma allo stesso tempo si propone con un atteggiamento costruttivo». 
 
La Costituzione però non si sofferma sui diritti degli omosessuali. Sembrerebbe un segnale non buono…
«Torniamo a quello che ti dicevo prima riguardo alla condizione femminile: stiamo pur sempre parlando di un Paese tradizionalista. Per quanto riguarda l’omosessualità possiamo tracciare un parallelo con l’Italia degli anni Cinquanta: tutti sapevano, ma la cosa veniva tollerata solo se mantenuta tra le mura domestiche. Non è possibile insomma, oggi come oggi, fare  coming out in Tunisia». 
 
Concludiamo con Ben Ali, l’ex dittatore che si è dato alla macchia. Possibile che in Tunisia nessuno sia più dalla sua parte?
«Certamente chi ha ricevuto dei privilegi dal suo governo vede con grande simpatia il suo ritorno sulla scena, ma stiamo parlando comunque di una decisa minoranza. C’è una differenza importante da sottolineare tra Ben Ali e Gheddafi: il primo ha raccolto intorno alla famiglia il proprio potere; il secondo, invece, era un capotribù.  Capisci che essere il capo di una tribù significa raccogliere un consenso di proporzioni molto più vaste. Inoltre Gheddafi aveva puntato molto sull’orgoglio libico, per questo a tutt’oggi in tanti lo rimpiangono. Aggiungiamo  poi che quando un dittatore muore si accende il mito, mentre quando scappa come un cane non conta più niente agli occhi della gente. È il codice degli eroi,  dall’Iliade in poi: combattere fino all’ultimo per restare nella Storia». 
 
 

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