Italia tifosa

Ultras, il sociologo Russo: «Ormai è violenza identitaria, ora il sistema calcio abbassi i toni»

A Bergamo un ragazzo di 26 anni è stato accoltellato a morte da un 19enne durante uno scontro per motivi calcistici. A Bari, un padre pestato davanti al figlio piccolo, fuori dallo stadio. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Russo, dell’Università di Firenze: «Si ha l'impressione che a ogni episodio si abbassi la soglia dell'indignazione, come se stessimo abituandoci a una violenza che si fa sempre più granulare, con episodi che avvengono in uno spazio e in un tempo sempre più distribuito e polverizzato»

di Alessio Nisi

calcio

Una lite che si è accesa per questioni calcistiche, che ha coinvolto dieci giovani che hanno iniziato a scontrarsi, armati di catene e bastoni, e che è finita in tragedia. A Bergamo, tra sabato e domenica, un ragazzo di 26 anni, Riccardo Claris, tifoso dell’Atalanta, originario di San Giovanni Bianco, è stato ucciso a coltellate. L’omicidio è avvenuto nella zona dello stadio, in strada. Il suo aggressore è appena maggiorenne, 19 anni. Che cosa è accaduto? Due gruppi di tifosi, uno dell’Atalanta, di cui faceva parte la vittima, e uno dell’Inter di cui faceva parte il diciannovenne, hanno avuto una discussione animata in un bar. Fuori dallo stadio.

Come è successo a Bari, dove uomo è stato violentemente picchiato all’esterno del San Nicola, in occasione di una partita. Una parola di troppo avrebbe innescato l’aggressione.

Giuseppe Russo, sociologo dello sport all’Università degli Studi di Firenze, saggista e giornalista, da anni studia il rapporto tra sport e violenza. «A Bergamo», spiega, «è stato fatto un passo ulteriore. Parliamo di una vicenda che, per come è stata ricostruita fin qui, è totalmente casuale, coinvolge cioè soggetti non immediatamente identificabili con i gruppi del radicalismo da stadio, ma che purtroppo ha lasciato un segno tragico». 

Il calcio, aggiunge Russo, «in questo Paese purtroppo è diventato un generatore di scontri identitari». Parliamo di «persone che estrapolate dalla loro identità calcistica si ignorerebbero» e che invece «entrano in conflitto e lo fanno anche con estrema violenza, quando c’è di mezzo il calcio».

Il caso di Bergamo «in questo senso è particolarmente preoccupante, perché si tratta di un episodio avvenuto molto lontano dagli impianti sportivi», fuori «dal contesto delle gare», «per una questione di confronto fra identità calcistiche». Per Russo, si è superato un limite. 

Quale limite professore? 

Lo scontro fra identità calcistiche può attivarsi anche nel modo più casuale e può avvenire ai margini della circostanza della gara di calcio. Abbiamo visto come, sempre più spesso, le tifoserie si scontrino negli autogrill, quindi molto distanti dai luoghi in cui la partita si svolge e in circostanze del tutto casuali. Basta il contatto per scatenare la predisposizione alla violenza. È una violenza non preparata e occasionale. Le identità calcistiche in circostanze del genere diventano quasi delle pietre focaie: basta sfregarle e scatta la scintilla della contrapposizione.

Lei, a proposito dello spostamento della violenza fuori dagli stadi, ha scritto: “Da anni gli scontri tra fazioni si sono spostati lontano dagli impianti di gara, secondo un codice della violenza transeunte fatto di appropriazione dello spazio e rottura momentanea delle leggi dello Stato”. Era una riflessione del 2023

È una trasformazione di lungo periodo. Ormai da anni gli stadi sono diventati dei luoghi in cui di fatto lo scontro tra fazioni del tifo opposto è diventato una cosa rarissima. Gli stadi sono luoghi iper controllati dove le fazioni opposte sono ben separate o addirittura si procede per divieto di trasferte. Questo ha fatto sì che la violenza tra le fazioni calcistiche non solo sia riversata in altri luoghi, ma lo ha fatto anche con una temporalità diversa. 

Parliamo della risposta dell’opinione pubblica, delle istituzioni e del mondo del calcio. Nonostante si sia trattato di un fatto gravissimo, non pensa che la reazione non sia stata altrettanto forte, come avvenne in un passato non troppo lontano, per vicende ugualmente drammatiche? Penso a Ciro Esposito e a Gabriele Sandri

Temo che ci sia anche un’assuefazione alla violenza che va messa in evidenza. Ciascuna vicenda ha delle dinamiche particolari. Nel caso di Gabriele Sandri la morte su provocata dall’intervento di un poliziotto, mentre nel caso di Ciro Esposito ci fu uno scontro fra tifoserie. Però sì, si ha sempre l’impressione che a ogni episodio si abbassi la soglia dell’indignazione, come se stessimo abituandoci a una violenza che si fa sempre più granulare, con episodi che avvengono in uno spazio e in un tempo sempre più distribuito e polverizzato.

Episodi di violenza che sembrano casuali.

Sì, la casualità ha l’effetto di essere un elemento quasi di assoluzione per il mondo del calcio e per le autorità. Ci si confronta col fatto che un certo tipo di violenza non può essere prevista e quindi non può essere nemmeno controllata.

Invece.

Invece il mondo del calcio, a tutti i livelli, dovrebbe prendersi delle responsabilità. Il fatto che siano le identità calcistiche a scatenare e a fare da detonatore a questo tipo di violenza ci dà l’idea che vada condotta una battaglia culturale molto forte. Un impegno che forse ancora il mondo del calcio non ha avuto il coraggio di farsi carico.

Di che responsabilità parla? 

La consapevolezza che le identità calcistiche possono dare luogo a  contrapposizioni estremamente violente, al limite tragiche, dovrebbe far riflettere il mondo del calcio che deve farsi carico di un supplemento di responsabilità sociale e di uno sforzo culturale ed educativo: sapendo che questo non basterà, ma che bisogna comunque dare un segnale.

Concretamente come dovrebbero muoversi le società di calcio?

Intanto farebbero bene ad abbassare i toni delle polemiche e delle contrapposizioni. Esasperare i toni alimenta i comportamenti violenti. Bisognerebbe che tutti quanti gli attori prendessero coscienza di questo aspetto e cominciassero a regolare meglio la comunicazione. 

Ma non basta

Si devono rompere definitivamente i rapporti fra le società di calcio e i gruppi del tifo più violenti ed esplicitamente criminali. I casi recenti ci dicono che purtroppo però le società non fanno abbastanza per rompere certi legami. Bisogna essere assolutamente inflessibili: i violenti da stadio vanno isolati e le società non devono dare alcun alimento a quelle frange del tifo.

In apertura foto di Damon Nofar da Pixabay

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