Non profit

Un caffè corretto, grazie

Action Aid lancia una campagna per i diritti dei contadini in Sudamerica

di Redazione

Un film per chiedere il rispetto dei diritti nel mercato del caffé. L’iniziativa è di Action Aid International, il regista è Marcello Pastonesi e la casa di produzione la Patriot Film. In Guatemala il caffè è la principale fonte di reddito e di occupazione, dalla quale dipende la sopravvivenza del 20% della popolazione. Attraverso le testimonianze dirette dei coltivatori, “Caffè amaro” racconta come la volatilità del mercato del caffè e la violazione dei diritti dei contadini abbiano conseguenze drammatiche per le condizioni di vita di intere comunità.

«La situazione dei contadini in Guatemala è critica» racconta Laura Hurtado di Action Aid Guatemala «il sistema capitalistico ha bisogno di più terra e più risorse naturali per andare avanti. Alcuni coltivatori resistono, trovando nuovi mercati, ma molti invece convertono la loro produzione a monoculture come la palma africana e la canna da zucchero, che servono per la produzione di bio-combustibili».

Grandi imprese private americane ed europee – denuncia Action Aid – comprano terreni in Guatemala, gran parte dei quali destinati alla produzione di caffè, e li riconvertono a monoculture intensive (scarica a destra il rapporto realizzato da Action Aid).

«Questa politica, avvallata dalla Banca Mondiale ha ripercussioni economiche e sociali sul nostro paese» afferma la Hurtado. «I contadini prima ricevevano un salario mensile ed un pezzo di terra per coltivare i propri alimenti».

 

I coltivatori intervistati durante le riprese del film confermano: «Quando siamo fortunati abbiamo l’indispensabile» dice Hugo.  «Siamo nati con il caffè, viviamo coltivando caffè, ma al momento il prezzo di mercato non ci consente di sopravvivere, sono troppo alti i costi di produzione».

«A seconda dell’anno e dell’andamento dei prezzi, non abbiamo soldi per fertilizzare i nostri campi» dice Mercedes. «E non stiamo parlando di ettari, ma di metri quadrati di terra, di poche centinaia di dollari. Siamo piccoli coltivatori».

Tanto piccoli produttori che se non si uniscono in cooperative e se non sono supportati da un governo che si interessi alla loro causa, non hanno speranza di resistere alle pressioni del mercato, sottolinea Action Aid.

Il sistema di compravendita del caffè non è regolamentato, e i produttori sono in balia d’intermediari locali, coyotes, che passano tra i campi con i loro furgoncini e comprano a basso prezzo dai produttori, ma che poi, disorganizzati e frazionati come sono, non hanno potere contrattuale e diventano facile preda delle grosse imprese esportatrici di caffè.

Il caffè quindi passa di mano in mano, tra attori locali, che approfittano l’un l’altro della debolezza altrui. «A volte anche sette passaggi» spiega Raniero Lec coordinatore di APOCS, cooperativa di produttori di caffè della zona di Atitlan, «in cui tutti guadagnano pochissimo, a totale vantaggio dei compratori stranieri. E così noi, come cinquecento anni fa, continuiamo a svendere materia prima. Su questo si basa la nostra economia».

Action Aid sta aiutando le comunità agricole e le cooperative di produttori a formulare e portare avanti il progetto di legge dal quale dipende il loro futuro. E ha lanciato una campagna per invitare i consumatori di caffè a chiedere ai produttori italiani di comprare solo caffè che sia raccolto rispettando i diritti dei contadini locali.

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