Welfare
Un nuovo imprenditore bussa allo sportello
Banche e immigrati: quanto è difficile per uno straniero avviare un'attività in Italia? Ecco le loro testimonianze
di Redazione
«Il boom degli imprenditori extracomunitari? Mi fa piacere, ma io che c?entro?» Kamel Mohomoud Tark è un signore di 45 anni che dall?interporto Orbassano, in provincia di Torino, fa viaggiare in tutta Europa una flotta di oltre 60 camion pieni di merce. Frutta e verdura, generi alimentari di ogni tipo, legname. Lui invece si muove poco, incollato dieci ore al giorno allo schermo dei superprezzi del gasolio che gli tolgono il sonno e al quadrante della logistica aziendale.
L?ultimo lungo viaggio l?ha fatto 30 anni fa quando è partito dall?Egitto per sbarcare in Italia: prima ragazzo clandestino, scaricatore di notte ai mercati generali di Torino, poi cittadino italiano e padroncino di una società di movimentatori fino alla posa della prima pietra di Tark, impresa di autotrasporto che oggi fattura 12 milioni di euro l?anno e impiega più di ottanta persone.
Davvero un?impresa
Le etichette però non lo convincono. «Mettersi in proprio oggi è davvero un?impresa», dice. «Per tutti. Italiani e stranieri. Per competere servono le idee, fiuto per il mercato e una gran voglia di lavorare. Le banche non sempre fanno il loro mestiere. In Italia si accorgono tardi delle potenzialità degli imprenditori immigrati perché non amano troppo rischiare. Ma attenzione ai fenomeni di illegalità, chi non trova riposta dal sistema del credito, la va a cercare altrove». Kamel Tark non racconta storie.
Lo conferma lo studio di Unioncamere che mette in luce la zona grigia dell?impresa extracomunitaria: oltre il 30% degli imprenditori non ha rapporti con le banche. Significa che una buona fetta di nuove aziende si finanzia attraverso canali informali: parenti, amici, la comunità di riferimento oppure, come sempre più spesso accade (e la Caritas ha lanciato l?allarme), ricorre ai cravattari e a prestiti usurai. Sabbie mobili pericolose per l?aspirante imprenditore ma un terreno minato anche per l?economia italiana che rinuncia così al gettito e a forze fresche nel comparto produttivo. E neppure il restante 70% di imprenditori stranieri in Italia (sono 430mila in tutto) ha vita facile. A costoro non manca il libretto degli assegni in tasca e un regolare conto in banca, ma quando bussano allo sportello si vedono rifiutare oltre un terzo delle richieste di credito. Ai margini della ?fiducia? bancaria ci sono gli africani, mentre i più apprezzati sono i migranti dall?Est Europa.
Dietro quelle cifre
Le attività che trovano più spesso la porta chiusa degli istituti sono nei settori agricoli, delle costruzioni e dei servizi. Non è un caso. Spesso dietro le statistiche del ?boom delle imprese immigrate? e della vittoria della società multietnica si nascondono nuove forme di caporalato e di sfruttamento. Infatti, nel secondo trimestre, la crescita dell?impresa straniera è trainata per il 40% dalla perenne – anche in fase di crisi del mattone – corsa dell?edilizia. Oltre 4mila nuove ditte individuali iscritte alle Camere di commercio «che», come spiega José Iban Galvez, direttore di ImpresaEtnica.it, «sono pure esternalizzazioni nel gioco di appalti e subappalti del comparto costruzioni». «Se vuoi lavorare», dice Galvez, «devi aprire una partita Iva. A te i costi e il rischio di impresa. Tutto tranne il profitto. Ma per fortuna non mancano i casi di successo. Piccole attività del commercio, cooperative di pulizia e altro ancora. Ora però bisogna pensare a forme di garanzia per spingere l?immigrato che ha idee e voglia di mettersi in proprio».
Le garanzie richieste per l?erogazione del prestito sono le ?classiche?: dichiarazione dei redditi, buste paga e relazionali (associazioni, confidi, nonché garanti esterni). I tagli dei prestiti infatti sono di piccolo calibro, di norma intorno a 10mila euro.
Un mondo capovolto
Ma chi è che fa più credito agli immigrati? I dati Crif Prometeia fotografano un mondo capovolto, con i piccoli e minori istituti che coprono il 51% del mercato contro il 20% delle banche maggiori (le grandi sono al 7,94%, le medie al 19,44%). Il ricorso all?autofinanziamento è ancora massiccio: banche e istituti finanziari per ora incidono per poco più del 20%. Ma sui prestiti oltre i 34mila euro, l?incidenza degli imprenditori è preponderante rispetto a quelli per la casa: 40% contro 26.
Una discrepanza che non stupisce Juan José Fabiani, peruviano di nascita e fondatore di Latiamericando, un festival musicale itinerante che riesce a far ballare, oltre al milione di spettatori del 2007, anche un indotto da 30 milioni di euro. «Il mio cognome mi ha aiutato, perché immigrato di origine italiana con doppio passaporto. Ma 30 anni fa quando sono arrivato a Milano era un problema persino aprire un conto, figurarsi ottenere un prestito. Oggi il panorama è cambiato. Almeno in parte. Gli istituti si attrezzano per accogliere i nuovi cittadini, confezionano prodotti ad hoc, assumono intermediatori culturali o personale straniero. Eppure occorre fare un salto di qualità. Perché le banche iniziano a puntare al risparmio degli immigrati ma non ancora all?impresa».
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