Uno dei degli argomenti più dibattuti nei convegni e nelle aule di formazione è la “giusta taglia” dell’impresa sociale. Qual è la dimensione giusta – soprattutto in termini di persone – per imprese che producono beni e servizi “di interesse generale”? La questione è così scottante che ha generato più di un conflitto soprattutto nei luoghi di produzione strategica come consorzi e organizzazioni di rappresentanza. Del resto non è andata molto diversamente nell’altra parte del campo imprenditoriale. Basti pensare che, ancora oggi, una delle principali classificazioni delle imprese in generale è appunto di tipo dimensionale: le grandi multinazionali e le citatissime pmi. Il problema però è più nella domanda che nella risposta. Decidere a priori se, come si diceva fino a qualche tempo fa, «piccolo è bello» oppure se è meglio collezionare rami d’azienda all’interno di una stessa organizzazione, rischia di ingenerare un dibattito che si attorciglia su se stesso e si erge oltre i confini della retorica. Meglio chiedersi quali siano i principali parametri di efficienza ed efficacia dell’impresa e, su questa base, scaturiranno indicazioni utili anche a stabilire qual è la dimensione “giusta”.
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