Mondo
Una corrispondenza inedita di Ilaria. Profezie a Mogadiscio
Così la giornalista descriveva la capitale somala. In preda a disordine, povertà e approfittatori. E sullo sfondo, il fantasma del fondamentalismo (di Ilaria Alpi).
di Redazione

Mogadiscio è una città fantasma. Mogadiscio è la Somalia. È la Somalia oggi. Basterebbe in fondo fotografare la capitale di questo Paese per avere una radiografia piuttosto attendibile di tutto il territorio. Senza per questo dimenticare l?origine nomade della popolazione, ma piuttosto seguendo strada per strada i guasti vecchi e nuovi che pesano come un macigno su tutto e tutti. Fra le macerie di quella che fu Mogadiscio si muovono attori per lo più inconsapevoli e la rappresentazione che offrono di sé è a dir poco lunare, altra. Oggi Mogadiscio offre uno spettacolo ancora nuovo e diverso rispetto a quello dei giorni della guerra.
La guerra è distruzione, morte. Ma oggi c?è la pace, o almeno questa è l?apparenza. Per la strada, percorsa da veloci mezzi militari e da più lenti asini o automezzi civili sovraccarichi di persone e cose, non si spara più. Ma dire che le milizie non hanno più armi, questo nessuno lo può affermare. Il dramma Somalia è ancora in scena. Rovine, calcinacci, vetri, questo è lo sfondo contro il quale si muovono gli attori: il sipario non è ancora sceso.
Gli stranieri
Per le strade si assiste a uno spettacolo che lascia quantomeno perplessi. La scena non è diversa da quella di un qualunque altro Paese africano. Donne che preparano il tè, uomini che giocano una specie di dama, bambini che corrono, qualche bancarella. Fin qui nulla di anomalo. Strana però questa apparente normalità se si pensa che nelle stesse strade stanno passando militari stranieri che organizzano un rastrellamento di armi, usando la loro autorità per bloccare automobili, perquisire, arrestare. Nessuno sembra interessarsene più di tanto. È come se fosse ormai la norma, un copione al quale si è abituati e che non fa più alcun effetto.
Ma Mogadiscio è quasi assediata. Ad ogni angolo di strada un posto di blocco. Il contingente internazionale è qui da mesi, tutto sommato si è fatto ben volere. Alla cerimonia di passaggio delle consegne fra il comandante americano e quello turco erano presenti le ?autorità somale?. E cioè? Chi rappresenta il Paese? Ufficiali della ex polizia.
La polizia
A Mogadiscio c?è una centrale di polizia. Gli agenti, con un berretto azzurro, alcuni armati, altri no, cercano di mettere ordine nel caos generale. La maggior parte viene dalle file della polizia di Siyad Barre, altri sono nuove reclute. L?organizzazione è in mano a un ufficiale dei carabinieri italiano.
Non è una forza dell?ordine, visto che non saprebbe quale ordine instaurare e soprattutto non ha un ministero degli Interni al quale fare riferimento. Può però servire ai militari stranieri come aggancio con il territorio.
La gente si sente rappresentata da questa polizia-fantoccio che pare trovarsi nei posti per caso e non sembra troppo convinta del proprio ruolo? Se la situazione non fosse così seria potrebbe sembrare un gioco. Ovviamente non lo è.
La posta
Quanto alle comunicazioni postali, c?è una novità. Il servizio è assicurato per e dall?Italia. Un?insegna colorata recita: ministero delle Poste e Telecomunicazioni. È una buia bottega. Dietro un bancone un signore mezzo addormentato, armato di timbri, inchiostro e tampone. Naturalmente l?idea è partita da un?organizzazione umanitaria, i militari italiani hanno messo a disposizione la loro struttura ed ecco, come d?incanto, la Posta. Anzi, per meglio dire, le Poste, visto che ce ne è una a nord e una a sud di Mogadiscio. Non si vuole scontentare nessuno. La linea verde, cioè la divisione fra la zona sotto l?autorità di Aidid e quella di Ali Mahdi, non esiste più, la città è tornata a essere una sola. Ma questo solo in teoria. Nella realtà si tratta di un periodo di calma, durante il quale le diverse fazioni cercano nuove alleanze, dentro e fuori il Paese, pronte a scattare di nuovo con tutta la violenza della quale hanno già dato prova. E ogni tanto si ha notizia di qualche regolamento di conti.
Un tribunale è stato messo in piedi, gestito da un anziano magistrato. Ma regolamentare la vita civile dove non esiste più un tessuto sociale non è cosa da poco. E poi come organizzare le prigioni? La gente sembra annichilita. Gli sforzi di chi tenta di ricostruire il Paese appaiono vanificati da questa onda lunga di totale disinteresse, quando si trasforma in ostilità. Per le organizzazioni umanitarie il lavoro raddoppia.
Le ong
Dovunque in città sono presenti, chi a nord, chi a sud, chi nell?una o nell?altra parte della città. Lavorano con diverse filosofie, a volte in contrasto, qualcuna anche con la speranza di arricchirsi. Girano molti soldi. Gli interventi vanno dagli ospedali alle scuole, agli orfanotrofi… Non esiste però un cervello unico e il lavoro, meritorio o interessato che sia, va spesso disperso. E le accuse fioccano, tra un?organizzazione e l?altra. Di sperpero, di corruzione, di incomprensione della realtà somala, di voler favorire una fazione contro l?altra. Il tribalismo sembra aver contagiato anche loro.
Le donne
Lul è una giovane donna somala. Ha studiato negli Stati Uniti dove ha assorbito una filosofia di vita pragmatica. Oggi gestisce un orfanotrofio, accanto alla chiesa del S. Cuore. Alcune suore, che daranno il loro contributo, lo vogliono trasformare nella ?Casa del fanciullo?. E qualcuno si chiede: in una realtà come quella somala, basata su una famiglia di tipo esteso, che senso ha parlare di orfani?
I bambini di Lul vivono insieme, vanno a scuola, hanno un ambiente pulito e sano dove stare. Alle pareti grandi disegni dei fumetti di Walt Disney. È evidente il passaggio dei militari americani che hanno ristrutturato gli edifici. I bambini cantano, recitano l?alfabeto – quello latino, ovviamente. A poche decine di chilometri, a Lafolè, un?altra donna, Hawa, gestisce un campo profughi con annesso ospedale. La scuola, qui, è coranica. In città girano accuse sul conto di Hawa. Si sarebbe arricchita con il mercato nero e gli aiuti internazionali. Ha però una strana teoria, diffusa per altro a Mogadiscio. “Anche se parte degli aiuti è finita nelle tasche di qualcuno, una certa quantità è andata a buon fine e questo è sufficiente”.
Le file
Lunghe file di uomini, il mattino presto, vicino al porto, nei pressi delle ambasciate. Cercano lavoro. Qualcuno ce la fa, qualcun altro no. Il malumore è profondo. L?attività in città non riprende. Un cartello ?Lavori in corso? nel bel mezzo della strada: sembra una beffa. E infatti nella vicina casa in costruzione nessuno lavora. Molto c?è da ricostruire, ma regna l?inattività. Le immondizie sono ammucchiate ai lati delle strade. Lunghe file di donne stazionano intorno ai punti di distribuzione del cibo.
Passa un altro giorno, nulla si risolve, ma per lo meno si arriva a domani. Anche di fronte alla sede dell?Unione islamica la gente fa la fila. L?Islam, nella sua versione fondamentalista, attrae. Il messaggio sociale. La solidarietà che si esplica attraverso scuole coraniche, ospedali e associazioni di vario tipo fa presa su gente che ha perso tutto. Nel progetto di una futura Costituzione, prospettato ad Addis Abeba, non c?è posto per gli islamisti. In quanto tali non saranno rappresentati nel nuovo governo costituente. Ma di donne velate se ne vedono sempre di più e le organizzazioni femminili si sono viste più volte minacciate da chi le considera immorali e nemiche della religione. Il Sudan non è poi così lontano.
Ilaria Alpi
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