Mondo
Una pax americana (meglio della guerra)
La guerra presto finirà. Ma a quale prezzo? (di Kizito Sesana).
di Redazione
La pace si deve fare e si farà. Gli Usa lo hanno detto in tutti i modi al governo islamico del Sudan. Le pressioni sono state forti. Usa e Ue hanno stanziato finanziamenti per accelerare l?accordo fra il governo di Karthoum e l?Esercito di liberazione del Sud Sudan (Spla), in guerra da più di trent?anni. Secondo i bene informati, è questione di poco.
La pace è ?quasi fatta? perché ci sono promesse di soldi, molti, per tutte e due le parti. All?indomani della firma dell?accordo, la comunità internazionale stanzierà aiuti giganteschi, mai visti prima in Sudan.
Tuttavia, i problemi irrisolti sono ancora troppi. La lotta per le risorse, innanzitutto: non solo il petrolio ma anche il controllo delle acque del Nilo, che è il problema chiave delle relazioni ingiuste fra Nord e Sud. L?oppressione delle minoranze, poi. La violazione dei diritti umani. Le comunità escluse. Nel Darfur c?è chi combatte perché non si sente rappresentato dal governo, mentre al Sud intere popolazioni non si sentono rappresentate dallo Spla.
Troppe, infine, le domande senza risposta. Ci saranno elezioni vere, che permetteranno la partecipazione di diversi partiti? O la scena politica sarà a favore dei due protagonisti che adesso si stanno spartendo la torta? Quella in corso in Sudan è, in un certo senso, una pace fra due dittature, forzata e imposta dall?alto. Non una pace maturata dalla soluzione dei problemi all?origine di questo conflitto, che si trascina sin dall?indipendenza di questo Paese, con un?ultima devastante fase che dura ininterrottamente da vent?anni.
Non è nemmeno la pace tanto attesa fra due popoli, quello arabo e islamico del Nord e quello animista e cristiano del Sud. E nemmeno un accordo fra due élite politiche, come sembrava all?inizio delle trattative. A un certo punto la pace si è ridotta al compromesso fra due persone: John Garang e il vice presidente sudanese Ali Osman Taha, costretti in una casa sul lago Naivasha, in Kenya, dagli americani. Fino al raggiungimento dell?accordo.
La spartizione delle ricchezze petrolifere del Sud Sudan è stata sempre al centro delle trattative. Alla fine lo Spla è riuscito a spuntare il 36% dei proventi petroliferi, contro il 15% offerto all?inizio dal governo del Nord. I problemi alla base del conflitto, in primis la divisione fra Sud e Nord Sudan, ma anche le ulteriori divisioni interne a queste due aree, non sono stati risolti. Gli atteggiamenti dei contendenti, e anche quelli delle popolazioni, non sono mutati. Quelli del Nord continuano a considerare alla stregua di schiavi quelli del Sud. Il governo di Karthoum ha dovuto ingoiare il boccone amaro, perché rifiutare, in tempi duri come questi, avrebbe significato trovarsi sotto i bombardamenti americani. Non appena possibile, si teme, si tornerà indietro. Gli osservatori della realtà sudanese dicono che tutto ricomincerà da capo, nella migliore delle ipotesi fra qualche anno.
Una pace ?sbagliata?, comunque, è sempre meglio di una guerra. Questa è la posizione, che condivido, di chi ha accompagnato negli anni di calvario la popolazione sudanese. Ciò però significa che noi che apparteniamo alla società civile, in Sudan e nei Paesi vicini, dobbiamo impegnarci, molto più che in passato, per affrontare i problemi non risolti. Bisogna approfittare di questa ?pace? per lavorare per la riconciliazione. Nei prossimi mesi dovremo rimboccarci le maniche per i diritti umani, la giustizia, la cittadinanza per tutti i sudanesi. Se in questo stato di non belligeranza, insieme ai sudanesi, riusciremo a fare dei progressi in questi ambiti, allora la speranza sarà più concreta. Ci sarà però bisogno di un?opera di riconciliazione e di educazione dal basso.
E la comunità internazionale? Gli Usa hanno ottenuto un successo diplomatico da esibire davanti al mondo arabo. Lo scopo di Bush, secondo molti osservatori, era quello di arrivare al tradizionale discorso alla nazione negli Usa di fine gennaio con questa carta in più da giocare. Il Sudan resta un Paese chiave non solo nel continente. Questa guerra civile permanente è stata fonte di instabilità per tutto il Corno d?Africa, e ha qualcosa a che fare con ciò che è successo in questi anni in Somalia, in Etiopia, in Uganda e in Congo. Ma in Sudan l?intervento Usa è accusato di rispondere più a una logica elettorale del presidente Bush che al bene dell?Africa.
L?Unione europea è più credibile. Sia per l?accortezza di alcuni interventi diplomatici che per gli interventi umanitari. L?Italia è stato l?unico Paese al mondo, quattro anni fa, ad aver sfidato l?isolamento dei Nuba con un atto del governo per portare aiuti. Questo in Sudan nessuno l?ha dimenticato.
Kizito Sesana
testo raccolto da Emanuela Citterio
Info:
Chi è
Nome: Renato Kizito
Cognome: Sesana
Missionario comboniano
Cosa fa: vive a Nairobi, in Kenya,dove ha fondato Koinonia, una comunità di singoli e famiglie locali che accolgono i ragazzi di strada. Compie numerose missioni tra le popolazioni sudsudanesi flagellate dalla guerra, in particolare sui monti Nuba.La sua opera è sostenuta in Italia dall?associazione Amani.
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