Se c’è un tema cruciale di questo nostro tempo credo sia quello della riorganizzazione sociale della democrazia. La crisi della politica è anche una devastante crisi democratica, e considero veramente velleitario pensare che una crisi di questa portata possa essere contrastata attraverso Facebook e Twitter, e non già invece attraverso la capacità di creare in ogni territorio comitati di tutela e di difesa degli interessi dei lavoratori dei cittadini. Solo lotte concrete per costruire una scuola o per impedire il saccheggio urbanistico di una zona ancora integra possono fare emergere nuove forme dello stare insieme, individuando mete e obiettivi intermedi, capaci di dare senso alle mobilitazioni sociali. Ma tutto questo non può avvenire con l’unico scopo distruttivo di cancellare dalla nostra storia il ruolo dei partiti e dei sindacati, giacché solo una democrazia organizzata attraverso i corpi intermedi può sviluppare un nuovo senso di appartenenza capace di ricostruire i legami sociali distrutti dall’offensiva neoliberista.
La denuncia della indecente diffusione della corruzione delle amministrazioni dei partiti e dei loro dirigenti è più che sacrosanta, ma non si è mai posto rimedio a questo problema che riguarda la cultura diffusa del Paese senza una rimessa in campo di conflitti veri e di lotte sociali capaci di modificare gli equilibri territoriali del sistema dei poteri.
La malattia della politica riguarda, a mio parere, in modo particolare la sinistra perché è sempre l’opposizione al sistema di potere vigente a dover dar prova di alternative convincenti. Questo però non significa affatto sovrapporre alla nomenclatura attuale una nuova nomenclatura di gruppi di pressione che reclamano legittimazione politica dal solo fatto di autoconvocarsi in ipotetiche assemblee fondative. Il modello delle leghe operaie e delle associazioni di mutuo soccorso che sostengono gli operai in lotta resta ancora un punto di partenza insuperato. Come ha scritto il vecchio Panikkar nelle sue riflessioni sulla politica, non si tratta di fare il bene, ma di fare bene, cioè si tratta di mettere in opera con i comportamenti pratici le idee in cui si crede.
Nell’epoca di un cambiamento catastrofico come il nostro, non ha alcun valore tutto ciò che fugge dalla realtà e non ha senso ipotizzare a parole magnifici traguardi per una società postconflittuale che sappia gestire pacificamente i beni comuni e la tutela del lavoro. Come sempre, per le idee bisogna lottare praticamente dando l’esempio con la propria vita e interpretando le contraddizioni reali come spazio per costruire nuovi passaggi verso il futuro. Il tema della crisi della politica, della crisi della sinistra e della crisi economica va letto oggi come crisi sociale del tessuto connettivo della società italiana, di cui sono vittime principalmente i ceti medi produttivi e i lavoratori autonomi e dipendenti: è di questa realtà sociale, psicologica ed economica che bisogna capire la tendenza verso il cambiamento, trasformando le aspirazioni individuali in risorse collettive capaci di incidere concretamente sull’equilibrio dei poteri reali nel territorio e nel Paese.
Sarei molto colpito se tutti coloro che come me pensano che siamo di fronte ad una crisi epocale che tocca le condizioni materiali dell’esistenza di migliaia e migliaia di uomini e donne, promuovessero una raccolta di fondi per la costruzione di un piano di aiuto ai giovani disoccupati e di sostegno concreto alle famiglie che vivono le nuove difficoltà di una vita miserabile ed incerta. Credo sempre che il futuro sia nelle mani degli uomini se chi ha il privilegio di parlare in pubblico si sforza di parlare con verità e coscienza critica.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.