Cultura

Vera Drake, l’etica post terremoto

Recensione del film "Il segreto di Vera Blake" di Mike Leigh (di Maurizio Regosa).

di Redazione

L?arte del racconto consiste probabilmente nello svolgere una storia per evocarne un?altra, più segreta, riservata a coloro che hanno più vivo il desiderio di interrogarsi. Lasciando comunque a tutti gli spettatori, curiosi o meno, dei motivi su cui riflettere. È il caso di questo film assai denso che è apparentemente assai esplicito: Vera Drake per anni ha candidamente ?aiutato le ragazze in difficoltà? procurando loro, clandestinamente, degli aborti; arriva il giorno – siamo a Londra nel 1950 – in cui la polizia la individua e la manda sotto processo.
I temi evidenti sono a portata di mano: Vera, la quale non si fa pagare per il suo operato, è una donna che ignora la legge, che vive una sua etica, che attribuisce un valore assoluto all?aiuto che crede di offrire alle giovani in difficoltà. Soprattutto è una donna che agisce in una dimensione di ?innocenza?. Si capisce il disorientamento della collettività quando scopre che colei che aveva sempre aiutato tutti e che aveva fatto della solidarietà una ragione d?esistenza, è colpevole di un crimine così grave. Si capisce pure il disagio profondo della sua famiglia, distrutta dalla notizia e tuttavia desiderosa di non abbandonare Vera al suo destino.
In quest?opera (vincitrice del Leone d?oro a Venezia 2004) che ricostruisce benissimo un?epoca e un intreccio di situazioni parallele (le interruzioni di gravidanza delle ragazze povere e di quelle ricche), vi è però un secondo livello narrativo che si collega con questo primo e ne costituisce un interessante sviluppo. Questo livello ?latente? non è affidato ai dialoghi (molto curati), alla sceneggiatura (ovviamente di ferro, trattandosi di cinema inglese), ma alla messa in scena.
Il regista Mike Leigh, infatti, colloca la macchina da presa e organizza il montaggio in modo da restituire uno spazio scenico del tutto frantumato, che impedisce allo spettatore una percezione globale dei luoghi della vicenda, privilegiando piuttosto rigorosamente i primi piani degli attori (tutti molto bravi).
In tal modo è suggerita un?ipotesi assai plausibile sull?origine dello smarrimento etico impersonato da Vera (l?intensa Imelda Staunton): quando il tessuto collettivo, in seguito a eventi di portata drammatica come la Seconda guerra mondiale, si frantuma, vengono meno i riferimenti comuni e l?individuo si percepisce in un isolamento letale, che lo spinge all?azione, ma non lo conduce a chiedersi quali siano le conseguenze intere del suo agire.

Maurizio Regosa

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